È il “Centre for European Reform” a dare l’ultima mazzata alla Brexit, il tormentone che dal 2016 picchia sulle due sponde della Manica. Diventata ormai una questione di “celodurismo” politico e di scontro fra ideologie opposte, senza più tener conto delle richieste della piazza di votare una seconda volta, la Brexit ha già fatto danni ingenti che faranno sentire gli effetti negli anni a venire.
L’idea di uscire dalla UE, almeno per adesso, si è rivelata nefasta, una delle peggiori nella lunga storia degli errori politici di cui è disseminata la storia dell’umanità. Lo dice, senza ovviamente aggiungere alcun commento (anche perché in fondo non servono), il citato rapporto del Centre for European Reform, che per iniziare paragona la situazione attuale a quella di una Gran Bretagna senza Brexit. Allo stato attuale, l’economia del Regno Unito sarebbe assestata su un confortante +2,5% in più rispetto alla situazione odierna. Dato percentuale che viene reso ancora meglio se tradotto in denaro sonante: 26 miliardi di sterline all’anno in meno, 500 milioni a settimana, 71 al giorno, ovvero 84 miliardi di euro persi dal 23 giugno 2016, quando i “Leave” sconfissero i “Remain”.
Sia chiaro: si tratta di calcoli ipotetici, basati sul semplice raffronto di situazioni pregresse e attuali di 22 paesi con economie simili a quella anglosassone. Ma comunque sufficienti a poter valutare la questione dell’uscita dalla UE in una cifra fra i 44 ed i 55 miliardi di euro, con allarmi a catena lanciati da enti e istituzioni come la “Bank of England”, la banca centrale, che teme un crollo dell’85 del Pil, un tasso di disoccupazione del 7,5% e l’inflazione oscillante intorno al 6,5%.