Germano Longo
Settecentomila visitatori: è la cifra ufficiale dei visitatori della terza edizione del Salone dell'Auto di Torino. Niente da eccepire, un successo a tutto tondo, che sarebbe rimasto tale anche fermandosi a centomila in meno, per dire.
Ma tanta affluenza e tanti marchi, 56 questa volta, sono un fardello che in qualche modo investe gli organizzatori di una responsabilità sempre maggiore. Un merito di fondo c'è, e va dato subito: rimettere mano ai cocci lasciati dal vecchio salone, quello in scena fra il 1900 e il 2002, non era cosa semplice. Per cui l'idea va sorretta e sostenuta, perché rappresenta la chances concreta per l'ex capitale dell'auto di ritrovare un posto nel sempre più ristretto elenco dei saloni dove chi conta dev'esserci, per forza.
Perso tempo prezioso
Ma questi sono anni che non perdonano, in cui non c'è tempo da perdere e neanche ci si può permettere il lusso di inciampare: la terza edizione significa l'altare su cui la kermesse del Valentino diventa grande e deve iniziare a fare sul serio, lasciandosi alle spalle qualche incertezza che a volte è sembrata un piccolo peccato di gioventù. Tanti gli eventi a corollario che sulla carta sembravano promettere cose epocali, e a conti fatti erano una via di mezzo - assai torinese - fra un semplice "porte aperte" da concessionario e qualche svogliato stand da piazza di paese. Il "Forum Elettrico", per dirne uno, poteva essere l'occasione per parlare di futuro e imporsi agli occhi del mondo, invitando esperti veri e coinvolgendo marchi, perché il domani si gioca lì. Ma limitare la faccenda a qualche venditore e pochi test drive è un peccato, nient'altro che questo.
Ferrari ma in tono minore
Vale lo stesso principio per i 70 anni del marchio Ferrari, celebrazione di una leggenda che da sempre basta ventilare nell'aria per richiamare migliaia di persone, e invece contenuto in otto vetture, che per quanto rappresentative restano sempre otto, anche a contarle da capo. Per chiudere con il "Gran Premio", il grande show del Salone, indeciso se chiudere al traffico le vie del percorso o aprirle a singhiozzo fra un gruppo e l'altro. Probabilmente gli intasamenti hanno convinto qualcuno che fosse necessario dare qualche valvola di sfogo al traffico, e di questo parte della responsabilità va divisa con il popolo torinese: si sapeva tutto da un pezzo, e avventurarsi con la propria macchina sul limitare del percorso significava più o meno sporgersi da un balcone senza ringhiera per vedere l'effetto che fa. Solo mentre cadi, capisci che non era il caso di guardare.