Ci sono parti del mondo in cui difendere il pianeta si traduce in semplici azioni quotidiane di civiltà, e qualche post sui social in difesa di piante a animali. Ma non è così ovunque: 164 persone, tre ogni settimana, sono morte nel solo 2018 semplicemente perché hanno tentato di difendere la propria casa, il terreno, un fiume, una foresta o una specie animale. Il calcolo l’ha fatto la “Global Witness”, pubblicando i nomi di tutte le vittime all’interno del report annuale “Enemies of the State 2019”, ma con l’aggiunta di una precisazione doverosa: si tratta di cifre sottostimate che la realtà potrebbero essere molto maggiori, considerando che questo genere di omicidi avviene spesso in Paesi dove la giustizia è un concetto astratto, per lo più mangiato e digerito da una corruzione dilagante.
Il posto dove è più facile morire, quello dove si conta il maggior numero di vittime, sono le Filippine, con 30 ambientalisti uccisi, seguita dalla Colombia (24 morti), l’India e il Brasile (23). Ma l’elenco è lungo: Guatemala, Messico, Iran, Honduras, Congo, Cambogia, Kenya, Gambia, Cile, Pakistan, Senegal, Sudafrica, Indonesia. Facendo il conto per continenti, è il Sudamerica il posto al mondo dove si registra quasi la metà delle morti. Delle 164 persone uccise, 43 erano impegnate a contrastare l’industria estrattiva, in 21 casi si trattava di ambientalisti, 17 si battevano per l’acqua, 13 contro il petrolio, 9 combattevano il bracconaggio e 2 la pesca indiscriminata.
A far alzare il livello delle Filippine è stata una strage dello scorso anno, quando un commando armato ha trucidato nove poveri contadini dell’isola di Negros, una meta turistica molto ambita dagli occidentali, che tentavano in ogni modo di difendere le loro piantagioni di canna da zucchero dalle mire di un boss locale. La stessa cosa è accaduta in Brasile, nello stato del Pará: 8 persone che aiutavano gli indagini contro una potente industria della soia sono state massacrate. Le storie di alcune delle vittime hanno fatto il giro del mondo: Luis Arturo Marroquin, attivista guatemalteco che si batteva per il diritti fondiari e lo sviluppo rurale, è stato assassinato da due uomini. E dopo di lui, altri quattro membri della stessa organizzazione. Identica la fine di Luis Fernando Ayala, giovane attivista di appena 16 anni, torturato e ucciso nel suo villaggio di Santa Barbara, in Honduras.