Paulo Paulino Guajajara era un indios, il comandante dei “Guardiani della Foresta”, le squadre create dalle tribù indigene per controllare le foreste dell’Amazzonia, minacciate da interessi, politica e affari spesso coordinati dal governo, con il presidente Bolsonaro in prima fila.
Guajajara era nato e cresciuto nella foresta sacra: viveva ad Araribóia, un villaggio di Bom Jesus das Selvas, stato di Maranhão, nel nord del Brasile, ma hanno trovato il suo corpo senza vita nella zona che da tempo controllava senza farsi sfuggire nulla. Ucciso da un colpo di fucile in mezzo alla schiena, probabilmente dopo essere riuscito lui stesso ad abbattere un taglialegna del gruppo che gli aveva teso un agguato, il cui corpo è stato portato via per non lasciare indicazioni.
Quello di Paulo Paulino Guajajara è solo l’ultimo omicidio di una guerra impari che gli indios stanno combattendo contro squadre mandate dalle multinazionali che hanno iniziato un disboscamento sistematico del polmone verde del mondo, dopo la cieca autorizzazione allo sfruttamento di Bolsonaro. Sono squadre attrezzate, armate di tutto punto e spietate, contro cui nulla possono i poveri indios. Le uccisioni sono quotidiane: qualche giorno fa sono stati scoperti i cadaveri di altre cinque vittime, tutti indios e anche loro guardiani che facevano parte di una commissione governativa di controllo, uccisi dopo aver subito torture e mutilazioni.
A dare notizia della morte di Guajajara, che amava dipingersi il volto con i segni della sua tribù, è stata “Greenpeace”, denunciando il massacro silenzioso di chi tenta di salvare l’Amazzonia da una distruzione che ha già delle stime allarmanti: al ritmo con cui le foreste sono aggredite, nel giro di pochissimi anni si arriverà al punto di non ritorno, con stravolgimenti climatici che riguarderanno tutto il mondo.