È un mistero fitto, quello che avvolge la morte di oltre 360 elefanti in Botswana. I motivi della strage, che va avanti da almeno tre mesi, sono resi ancora più incomprensibili dai racconti dai ranger, che hanno riferito di aver ritrovato carcasse di esemplari - maschi, femmine e giovani in egual misura - morti intorno a pozzi d’acqua, “caduti a faccia a terra”, come se qualcosa li avesse stroncati sul colpo. E gli elefanti vivi visti nelle vicinanze apparivano deboli, alcuni si muovevano in cerchio, incapaci di cambiare direzione, prima di accasciarsi a terra. Ad aggiungere stranezza al caso è che altre specie animali che coabitano nella stessa zona non sembravano essere state colpite dalla moria, il che porterebbe ad escludere un avvelenamento delle acque, ma anche il bracconaggio, visto che a nessuno degli elefanti morti erano state asportate le zanne, che li rende una delle preda preferite dai bracconieri. Gli esperti sembrano più inclini a pensare ad un parassita che ha colpito la specie, o in virus letale. Il governo del Botswana sta testando campioni di tessuti prelevati sugli esemplari morti, ma non ha ancora determinato la causa scatenante: analisi analoghe sono in corso anche in laboratori in Zimbabwe, Sudafrica e Canada.
Il Botswana ospita 130.000 elefanti africani - più di qualsiasi altro paese del continente nero - e il Delta dell’Okavango, dove è in corso la strage, rappresenta l’habitat per circa il 10% degli esemplari di tutto paese. L’anno scorso, il Botswana ha abolito il divieto di caccia agli elefanti in vigore nel 2014, scatenando una protesta internazionale: l’elefante africano è classificato come specie vulnerabile nella Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Il primo grande censimento degli elefanti, un’indagine panafricana condotta nel 2016, ha rivelato che in soli sette anni, tra il 2007 e il 2014, il numero degli elefanti è crollato di almeno il 30%, ovvero di 144.000 unità.