di Marco Belletti
Con l’espressione analfabetismo di ritorno si dovrebbe descrivere esclusivamente il fenomeno di chi – pur avendo studiato e imparato a scrivere e a leggere – a causa del mancato esercizio di ciò che ha appreso, nel tempo ne perde le capacità. In tempi recenti il termine ha esteso il suo significato e oggi lo si utilizza anche per indicare chi è assuefatto alle moderne tecnologie e, per esempio, non ha più necessità di ricordare o imparare alcune informazioni per poter comunicare o compiere delle azioni. Ormai non c’è quasi più nessuno che ricorda i numeri di telefono visto che – grazie a Siri, Alexa o Cortana – in modo pratico e semplice basta pronunciare il nome della persona da chiamare. Oggi per registrare un programma alla televisione è sufficiente premere un tasto, rispetto ai numerosi (canale, data, ore d’inizio e fine della trasmissione) e complicati dati necessari alcuni anni fa. E le prossime generazioni non dovranno neppure ricordarsi come si conduce un’automobile, ci penserà l’assistente alla guida autonoma. In poche parole, ormai siamo completamente dipendenti dalla tecnologia, che è diventata per l’uomo una sorta di droga senza la quale non ci è più possibile vivere.
In realtà sono decisamente numerose le droghe che utilizziamo e alle quali ormai non possiamo più rinunciare: antidolorifici, antidepressivi, antiacidi, antivirali… E a causa della grande quantità di utilizzo, anche chi non li impiega regolarmente corre il rischio di trovarseli in corpo semplicemente nutrendosi di animali o vegetali che li hanno assimilati loro malgrado, in una sorta di vera e propria “tossicodipendenza di ritorno”.
E sì, perché i residui di farmaci espulsi dal nostro corpo, dalle industrie farmaceutiche e dagli ospedali finiscono nei corsi d’acqua e si accumulano negli animali che ci vivono. Tracce di medicinali contro il dolore, la fertilità, l’insonnia, la depressione, le malattie neurodegenerative oltre che residui di antibatterici e antimicrobici sono presenti in tutte le acque del mondo, anche in quelle del mare antartico.
Sono già numerose le ricerche di scienziati e medici in questo ambito: stimano che entro il 2050 la quantità di sostanze farmaceutiche nelle acque potabili potrebbe aumentare di due terzi rispetto a oggi. Sembra che già ora gli ornitorinchi che vivono nei dintorni di Melbourne, in Australia, assimilano ogni giorno la metà della dose di antidepressivi consigliata per un adulto. Facile a questo punto fare un battuta: chissà che vita fino a tardi, questi ornitorinchi! Ma in realtà il problema è davvero grave, con poco spazio per scherzare.
Sebbene non sia facile valutare fino in fondo le conseguenze di questo particolare tipo di inquinamento ambientale e i suoi effetti sulla natura e sugli esseri viventi, sono già numerosi i test di laboratorio che hanno messo in evidenza i sintomi che scatenano negli animali, a volte effetti molto diversi da quelli che i medicinali hanno sugli esseri umani.
Per esempio, le anfetamine modificano i tempi di crescita e sviluppo degli insetti che vivono in acqua: in questo modo sembra che depongano le uova troppo presto senza che abbiano la possibilità di dare vita a nuove generazioni. Gli antidepressivi ostacolano il processo di apprendimento e di memoria della seppia, che così non si comporta più da seppia, e inoltre impediscono alle lumache marine di restare attaccate alle rocce. I farmaci utilizzati per variare i livelli di serotonina negli esseri umani hanno effetti devastanti sugli animali: i granchi che ne assumono piccole quantità manifestano comportamenti anomali e aggressivi, gli storni maschi cantano molto meno e trovano meno attraenti le femmine. I gamberi “fatti” di Prozac hanno la tendenza ad abbandonare i luoghi semioscuri prediligendo quelli ben illuminati, dove ovviamente sono presenti in numero maggiore i predatori.
Valium e Xanax assimilati dai salmoni, anziché placare le loro ansie, provocano il desiderio di migrare in anticipo: i giovani si spostano così verso il mare quando ancora non hanno la forza per farlo e le condizioni ambientali non sono propizie. Da sempre la migrazione dei salmoni permette di portare sostanze nutritive dalle foreste di montagna al mare e viceversa, fornendo cibo a lupi, lontre, insetti marini, orsi. Questi ultimi, dopo aver pescato i salmoni li mangiano nei boschi e abbandonano le carcasse che così diventano fertilizzante in luoghi anche molto distanti dall’acqua.
In pratica, dopo avere influenzato pesantemente e in maniera diretta – benché non cosciente – i comportamenti sociali degli animali domestici e di compagnia, ormai il genere umano sta di fatto modificando anche quelli degli animali selvatici causando, è inutile dirlo, seri problemi alla natura. Almeno in questo ambito non si può parlare di analfabetismo di ritorno, perché in certi modi di agire da sempre siamo indiscutibilmente molto analfabeti, oltre che menfreghisti.