Di Marco Belletti
Alcuni giorni fa è stato presentato in anteprima al 37° Torino Film Festival il docu-film “Viva la vida”, dedicato alla pittrice messicana Frida Kahlo, che sarà distribuito nelle sale cinematografiche italiane solamente dal 25 al 27 novembre. Diretto da Giovanni Troilo, il film – attraverso interviste esclusive, documenti d’epoca e ricostruzioni suggestive delle opere – racconta la vita della celebre artista messicana, mettendone in evidenza le due anime: da una parte il simbolo del femminismo contemporaneo, dall’altra l’artista libera nonostante le costrizioni di un corpo martoriato dalle gravi ferite provocate da un grave incidente.Nel documentario fotografie, abiti e altri oggetti personali – conservati nel museo Frida Kahlo – raccontano dettagli inediti della pittrice, mentre alcune testimonianze di critici e artisti permettono di conoscere le radici della pittura di Frida, strettamente collegata a quella tradizionale messicana dell’Ottocento.
Frida Kahlo nacque nei pressi di Città del Messico il 6 luglio del 1907 da un fotografo tedesco e una benestante di origini spagnole e amerinde. Affetta da spina bifida – che i medici scambiarono per poliomielite – Frida a 18 anni subì un incidente che le cambiò la vita. Il 17 settembre 1925 uscita dalla scuola con il fidanzato Alejandro salì su un autobus che finì schiacciato contro un muro in seguito a un incidente con un tram. Le conseguenze per la ragazza furono gravissime: la colonna vertebrale si spezzò in tre punti nella regione lombare, il collo del femore si frantumò e si ruppero numerose costole, la gamba sinistra riportò 11 fratture, il piede destro rimase slogato e schiacciato, la spalla sinistra restò lussata e l’osso pelvico spezzato in tre punti. Subì 32 operazioni chirurgiche e una volta dimessa dall’ospedale fu costretta per anni all’immobilità assoluta nel letto di casa, con un busto rigido che le bloccava ogni movimento.
Nei lunghi mesi in cui rimase a letto, la giovane iniziò a dipingere e a leggere libri sul movimento comunista. Per permetterle di stare più comoda, Frida fu sistemata in una sorta di baldacchino con uno specchio nella parte superiore e le furono regalati dei colori: il suo primo dipinto fu un autoritratto che regalò ad Alejandro. La ragazza spiegò più tardi che in quel periodo dipingeva se stessa perché trascorreva molto tempo sola e perché era il soggetto che meglio conosceva.
Quando finalmente il gesso che la bloccava fu tolto e Frida riuscì a camminare – pur provando forti dolori per il resto della vita – decise che il suo hobby sarebbe diventato un lavoro per aiutare economicamente la sua famiglia, e mostrò i suoi lavori a Diego Rivera – pittore molto celebre dell’epoca – per conoscere la sua opinione.
Rivera rimase impressionato dallo stile di Frida, tanto da introdurla nella scena politica e culturale messicana, facendola diventare un’attivista del partito comunista messicano e sposandola nel 1929. L’uomo era al terzo matrimonio, aveva 21 anni più della moglie e avrebbe regolarmente tradito Frida per il resto del loro rapporto. La Kahlo ebbe per reazione e vendetta nei confronti del marito numerosi rapporti extraconiugali, di cui alcuni omosessuali.
Per un breve periodo la coppia si trasferì a New York dove Rivera realizzò un’opera nel Rockefeller Center: Frida rimase incinta ma a causa del suo fisico debilitato ebbe un aborto spontaneo di cui rimase molto scossa e decise di tornare in Messico. Da allora i due vissero in appartamenti separati fino al divorzio nel 1939, a causa del tradimento di Rivera con Cristina, la sorella di Frida.
Tuttavia la pittrice era succube dell’uomo, tanto che già l’anno successivo accettò di sposarlo nuovamente, ricominciando a patire per i suoi tradimenti e vendicandosi allo stesso modo. Frida ebbe numerosi amanti di entrambi i sessi: il rivoluzionario russo Lev Trockij, il poeta André Breton, la fotografa militante comunista Tina Modotti, l’ambasciatrice russa Aleksandra Kollontaj, la ballerina e pittrice Rosa Rolando, la cantante messicana Chavela Vargas…
Frida Kahlo ammise nel diario che scrisse per tutta la vita, che il suo rimpianto maggiore era stato non poter avere figli e che la sua emancipazione probabilmente era stata ottenuta grazie all’impegno politico e all’iscrizione al partito comunista. Nel 1953 la pittrice avanzò la richiesta di grazia per i coniugi Rosenberg – comunisti statunitensi condannati a morte e giustiziati per presunto spionaggio a favore dell’Unione Sovietica – insieme con personaggi famosi come Bertolt Brecht, Dashiell Hammett, Pablo Picasso, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Papa Pio XII e lo stesso Diego Rivera.
Pochi mesi dopo, nell’agosto 1953, le fu amputata la gamba destra che per un’infezione finita in cancrena. L’anno successivo morì per un’embolia polmonare a soli 47 anni, precedendo di tre anni il ben più anziano marito, che scomparve il 24 novembre 1957, a 71 anni.
Frida fu cremata e le sue ceneri conservate nella sua casa, oggi sede del museo Frida Kahlo.
Dopo una prima fase artistica in cui concentrò la sua attenzione sui ritratti (se stessa e il primo fidanzato Alejandro), lo stile artistico di Frida Kahlo passò rapidamente a un personalissimo surrealismo, tanto che l’amante André Breton la definì “una surrealista creatasi con le proprie mani”. Lei tuttavia era conscia che l’etichetta surrealista le avrebbe permesso di ottenere l’approvazione dei critici, ma preferiva essere considerata un’artista originale ed è per questo motivo che rifiutò sempre di essere considerata surrealista. Anzi, poco prima di morire Frida negò risolutamente di aver preso parte al movimento dell’amante Breton.
Fino all’ultimo giorno la donna scrisse sul suo diario, che termina con la frase “Spero che l’uscita sia felice e spero di non tornare mai più”.