Di Marco Belletti
Oggi un quadro può ancora sollevare sentimenti antisemiti? Sembrerebbe proprio di sì visto che, come segnala il sito specializzato “Finestre sull’arte”, il dipinto del pittore contemporaneo italiano Giovanni Gasparro sul martirio di Simonino da Trento, una falsa notizia del Quattrocento, è diventato un caso internazionale.Gasparro è nato a Bari nel 1983 e ha già realizzato numerose opere che sono esposte in alcune chiese dell’Italia centrale e del Sud, oltre che alla galleria nazionale di Cosenza e al museo diocesano di Imola. Recentemente il pittore pugliese ha “postato” un’immagine del dipinto incriminato su Facebook commentando “Martirio di San Simonino da Trento, per omicidio rituale ebraico”.
A parte il fatto che Simonino da Trento attualmente non è canonizzato, a suscitare le ire di centinaia di persone è il fatto che Gasparro non ha contestualizzato l’opera e l’ha presentata come se il culto fosse ancora in vigore, senza spiegare che l’omicidio rituale è un falso storico. Il suo post ha raggiunto i 5mila commenti con molti che insultano l’artista.
La vicenda che Gasparro ha voluto raccontare nel suo dipinto risale al 23 marzo 1475, quando un bambino di tre anni (Simonino da Trento, appunto) scomparve da casa e fu ritrovato morto tre giorni dopo nei pressi dell’abitazione di una famiglia ebrea. Autorità e popolazione di Trento furono fomentate dal principe-vescovo Johannes Hinderbach che accusò la comunità ebraica per aver rapito e quindi ucciso il bambino con un omicidio rituale, la cosiddetta “accusa del sangue”.
Simonino divenne immediatamente beato e fu venerato dalla Chiesa cattolica fino al 28 ottobre 1965, quando il culto fu abolito, dopo lunghe ricerche storiche che decretarono l’assoluta inconsistenza delle accuse contro la comunità ebraica.
L’accusa si fondava sulla convinzione che gli ebrei compissero sacrifici rituali di fanciulli cristiani per ricordare la crocifissione di Gesù, servendosi del sangue della vittima per scopi magici e religiosi. Gli ebrei accusati da Hinderbach furono costretti a confessare sotto tortura, processati sommariamente e quindi giustiziati. Simonino divenne oggetto di venerazione, con una vasta diffusione di immagini del bambino e la stampati tipografici, invenzione all’epoca recente, divulgarono rapidamente la sua storia.
Anna Foa insegna all’università La Sapienza di Roma e si occupa di storia della cultura nella prima età moderna, di storia della mentalità, di storia degli ebrei. Nel catalogo di una mostra con opere su Simonino organizzata al museo diocesano tridentino, ha scritto: “Nel 1475 quando gli ebrei di Trento vennero accusati di aver ucciso ritualmente il piccolo Simone, l’accusa del sangue era una conoscenza diffusa nel mondo cattolico, un sospetto che aleggiava con grande facilità sugli ebrei alla prima scomparsa di un bambino e nelle circostanze della Pasqua ebraica, i giorni in cui secondo questa accusa gli ebrei erano soliti uccidere bambini cristiani allo scopo di utilizzarne ritualmente il sangue e in odio al mondo cristiano. Nell’area tedesca le accuse si erano moltiplicate nel corso del Quattrocento, in alcuni casi portando sangue e morte agli ebrei, in altri sancendo assoluzioni e onerosi riscatti”.
Si trattava di una falsa credenza che circolava fra i cristiani, generata dalla paura verso la diversità, per usanze e ritualità inconsuete che quindi sembravano sospette nel clima di generale ignoranza dell’epoca.
In pratica, l’antisemitismo medievale attribuiva agli ebrei la pratica del sacrificio umano con bambini cristiani precedentemente torturati: non esistono attestazioni di tale pratica, ma la credulità popolare dell’epoca la riteneva fondata e di conseguenza, dopo il ritrovamento del corpo di Simonino, diversi ebrei tutti innocenti ne pagarono le conseguenze. E solo nel 1965 grazie ad alcuni storici e studiosi dell’epoca la fake news fu finalmente smascherata e terminò ufficialmente il culto di Simonino.
Tornando ai giorni nostri e alla provocazione causata dall’opera di Gasparro, “Finestre sull’arte” cita numerose prese di posizione contro il pittore italiano. Innanzitutto i principali media israeliani come il “Times of Israel” e il “Jerusalem Post”, quotidiani in lingua inglese tra i più letti della nazione, e “Algemeiner”, il settimanale degli ebrei statunitensi: oltre alla notizia hanno riportato condanne da parte di molti esponenti della comunità ebraica internazionale. Il “Simon Wiesenthal Center” – l’organizzazione che si occupa di ricerca sull’olocausto e sull’antisemitismo contemporaneo – ha invitato la Chiesa a denunciare Gasparro per la sua opera, affermando che non si tratta di arte ma di odio, inviando una lettera formale di protesta al segretario di stato Vaticano Pietro Parolin esprimendo forte disappunto sulla vicenda.
In Italia a condannare l’operato di Gasparro è stata la comunità ebraica di Milano che sul sito definisce il quadro scandaloso e inaccettabile: “il pittore propone un’opera pregna di odio antiebraico come se si sentisse il bisogno, quando le fake news attuali impazzano, di rispolverare quelle di un lugubre e fosco passato”.
Da un punto di vista artistico, l’opera (un olio su tela di oltre due metri per 1,5) è tecnicamente ben realizzato, bilanciato nelle posizioni dei protagonisti e nei colori. Il bambino è al centro del dipinto con il volto straziato da paura e dolore, nella posizione classica del martirio. Come Cristo in croce ha una ferita al costato mentre un’aureola intorno alla testa rappresenta la sua santità. Tutto attorno, ebrei dipinti in modo esageratamente caratterizzato e a volte grottesco infliggono a Simonino crudeli torture, con tagli, pinze e sangue raccolto in vassoi. Complessivamente, la grandiosa scena dipinta è molto violenta e non tiene in nessuna considerazione la presa di posizione del concilio Vaticano II del 1965.