Un annuncio che era nell’aria, svelato dai quotidiani non governativi qualche ora prima, che pare sia giunto al termine di una riunione in cui, per far pace con l’opinione pubblica mondiale, si è deciso di “raffreddare l’atmosfera” e aprirsi il dialogo con la città dopo 13 settimane di scontri e violenze. Nel piegare la testa alla piazza, il capo esecutivo di Hong Kong ha aggiunto un’indagine sui metodi della polizia, talmente trasparente da essere realizzata con la supervisione di esperti stranieri, ma negato l’amnistia per le migliaia di persone finite in galera per le proteste. Nulla invece sul suffragio universale, che secondo la Lam va discusso con gli animi meno inferociti. Per finire con l’idea di affidare ad un comitato di esperti l’analisi dei problemi di Hong Kong, per risolverli uno dopo l’altro.

Ma le reazioni dei protestanti sono tutt’altro che soddisfatte: “Troppo poco, troppo tardi”, è la frase che si rincorre sui social, dove le parole dello chief executive non sono solo considerate tardive, ma pronunciate da una donna che hè vista ormai come una nemica. “La risposta di Carrie Lam arriva dopo il sacrificio di 7 vite e l’arresto di 1.200 dimostranti. Sollecitiamo anche il mondo a essere vigile e a non farsi ingannare dai governi di Hong Kong e di Pechino: una stretta su larga scala è in arrivo”, tuona su Twitter Joshua Wong, uno dei leader del “movimento degli ombrelli”. Altrettanto dura la reazione del “Civil Human Rights Front”, che oltre a ribadire la richiesta di approvazione per le cinque richieste formulate dalla piazza, commenta: “Pensare che la mossa annunciata in tv possa bastare a placare gli animi è un grave errore di giudizio politico”.