Lo scandalo Weinstein, quello che ha scoperchiato le sozzerie di Hollywood e dintorni, in confronto sembra un giro di educande. Quello che sta investendo la Corea del Sud è più simile ad uno tsunami che solo nelle fasi iniziali ha già coinvolto 4mila persone. L’epicentro di un giro immenso di sesso, prostituzione, droga e perversione è un elegante quartiere di Seul che si chiama “Gangnam”, esattamente come il tormentone del 2012 dell’improbabile Psy, inspiegabilmente finito fra i record musicali del secolo, ma più che altro apripista verso l’Occidente del “K-Pop”, lo stile musicale della Corea del Sud.
Una sorta di Beverly Hills asiatica che attira artisti, influencer e attori, tutti belli, ricchi, famosi: più o meno l’equivalente di danarosi, capricciosi e perversi. Una zona costellata da night club che non chiudono mai, capaci di attirare migliaia di persone attirate dal profumo dell’esclusivo e del lusso, che ha finito per attirare le attenzioni della polizia, sulla spinta di un malcontento generale verso le stelle del K-Pop, talmente celebri e immuni da vivere come cittadini al di sopra della legge. Circolavano da tempo video realizzati con smartphone in cui i divi si scambiavano impunemente video di bravate sessuali, annunciando anche le violenze future a cui stavano lavorando.
Quando basta per convincere la polizia ad organizzare un paio di controlli diventati retate con tanto di autobus, rimediati all’ultimo istante per poter portare la massa di fermati in galera. È stato il tappo di una bottiglia agitata energicamente da cui è uscito davvero di tutto: droga, stupri, prostituzione minorile, alcol, pedofilia, sesso estremo.
Non mancano i nomi al più imponente scandalo che la Corea del Sud ricordi: si inizia doverosamente da Seungri, nome d’arte di Lee Seung-hyunn, 28enne leader dei “Bigbang”, uno dei gruppi più amati e ascoltati del K-Pop, con 140 milioni di copie vendute. Sul suo conto circolano voci e accuse così pesanti da averlo convinto a lasciare il mondo dello spettacolo e “difendersi”. Accanto a lui svetta un altro nome eccellente: quello di Yang Hyun-suk, potente capo della “YG Entertainment”, una casa discografica che sarebbe l’artefice del successo planetario di “Gangnam Style”, ma pare un talento anche nel traffico di droga. Da aggiungere all’elenco anche Jung Joon-young, attore e cantante 30enne che si è spontaneamente presentato in commissariato per ammettere di aver ripreso rapporti sessuali con diverse donne e di averne condiviso le immagini a destra e pure a manca. Per finire, al momento, con Yong Jun-hyung, 29 anni, frontman degli “Highlight”, che ha dovuto spiegare la presenza sul suo smartphone di decine e decine di video di stupri e violenze.
Il totale, come accennato prima, al momento si ferma a 4mila persone fra fermati, arrestati e interrogati, ma la sensazione è che si tratti solo dell’inizio, della schiuma di superficie: difficile pensare che in un simile circolo di vizi assortiti la malavita organizzata non abbia messo piede, e più che altro mani. A muovere il meccanismo erano alcuni ricchissimi sudcoreani, notabili alla guida di imperi e di fortune miliardarie che “ordinavano” alla carta minorenni da stuprare nel corso di serate erotiche condite di droga, per fiaccare ogni resistenza. Imprecisato, al momento, il numero di ragazze che ha sporto denuncia, raccontando lo stesso copione: un po’ di droga per tanta violenza.