Sul caso di Julian Assange, il fondatore di “WikiLeaks” che dopo sette anni di reclusione nell’ambasciata ecuadoriana di Londra è stato espulso e di conseguenza arrestato, il mondo intero continua a farsi una sola domanda: perché? Cos’è cambiato nei confronti di un uomo su cui pendono diversi mandati di cattura internazionali e accuse di spionaggio che potrebbero portarlo al carcere a vita?
Domande che in qualche modo hanno finito per fare pressione sul governo ecuadoriano, che inizia a fornire spiegazioni attraverso il ministro degli esteri José Valencia e quello degli Interni María Paula Romo: entrambi accusano Assange di comportamenti inopportuni all’interno dell’ambasciata, “dove usava spesso uno scooter nei corridoi, insultava il personale e per spregio spalmava le sue feci sui muri”.
Ma mentre l’Ecuador era senza dubbio stanco dell’ospite, le motivazioni per privare Assange dell’asilo politico e permettere l’ingresso di ufficiali di Scotland Yard sono probabilmente più complesse. WikiLeaks stuzzicava le autorità ecuadoriane da tempo: per mesi, Assange ha portato avanti un’azione legale contro il governo ecuadoriano, accusandolo di violare i suoi diritti introducendo nuove e severe regole all’interno dell’ambasciata. Accuse che lo scorso ottobre un giudice ecuadoriano ha respinto ritenendole del tutto infondate.
Il governo di Quito era anche irritato dal pieno sostegno di Assange al movimento per l’indipendenza catalano: il Ministero degli Esteri aveva più volte ammonito del giornalista di origini australiane di astenersi dal rilasciare dichiarazioni che avrebbe potuto compromettere le relazioni dell’Ecuador con altri paesi, compresa la Spagna.
Ma WikiLeaks non ha mai mollato, scegliendo perfino di alzare la posta: il 25 marzo, il sito dell’organizzazione ha postato un tweet riguardante un’indagine di corruzione contro il presidente ecuadoriano Lenin Moreno. A corredo della rivelazione sono stati divulgate email, messaggi di testo e documenti relativi alla vita privata di Moreno. Ad inasprire i rapporti le accuse del governo ecuadoriano nei confronti di WikiLeaks anche la divulgazione degli “INA Papers”, un fascicolo di documenti che dimostrerebbe la fuga di capitali del presidente verso paradisi fiscali. Proprio questo, secondo WikiLeaks e i suoi sostenitori, è stato il pretesto per mettere la parole fine all’asilo di Assange.
Le relazioni si sono ulteriormente deteriorate mercoledì scorso, quando WikiLeaks ha convocato una conferenza stampa affermando di aver scoperto un’operazione di spionaggio contro Assange all’interno dell’ambasciata. Parlando ai giornalisti a Londra, Kristinn Hrafnsson, attuale direttore di WikiLeaks, ha affermato che l’Ecuador avrebbe fatto registrazioni video e audio di Assange all’interno dell’ambasciata, compresi un esame medico e diversi incontri con i suoi legali. Meno di 24 ore dopo, la cittadinanza ecuadoriana e l’asilo politico di Assange sono state revocate, concedendo addirittura a Scotland Yard il privilegio di rimuoverlo con la forza.
Ma la battaglia contro WikiLeaks non si combatteva solo a Londra: il Ministero dell’Interno giorni fa ha annunciato l’arresto di Ola Bini, esperto svedese di software considerato uno “stretto collaboratore” di Assange, bloccato all’aeroporto di Quito mentre si preparava a volare in Giappone. L’accusa è di collaborare con Ricardo Patiño, ministro degli esteri durante il governo dell’ex presidente Rafael Correa, colui che aveva concesso asilo ad Assange, che nei giorni scorsi aveva commentato la decisione del suo successore di revocare lo status di asilo di Assange “Il più grande tradimento nella storia dell’America Latina”. Probabilmente un’esagerazione, ma qualunque sia la verità, la storia dei turbolenti 2.488 giorni di Assange nell’ambasciata ecuadoriana non è ancora finita.