Savin è tutt’altro che un folle: ex paracadutista militare ed ex ranger in un parco africano, è un appassionato di sport estremi che in vita sua ha attraversato l’Atlantico quattro volte in barca a vela, nel 2015 ha scalato il Monte Bianco e due anni dopo è arrivato secondo al campionato francese di Triathlon. Ma questa volta voleva fare qualcosa di diverso e difficilmente omologabile: si è costruito da solo il suo “Le Vagabond”, un grosso barile lungo tre metri e largo poco più di due, con cui il 26 dicembre scorso si è fatto calare nelle acque dell’oceano Atlantico da El Hierro, nelle Canarie, con l’idea di affidarsi alle correnti. Quattro mesi dopo, è approdato a St. Eustatius, isola dei caraibi olandesi, dopo aver percorso 2.930 km in completa balia dell’oceano.

A bordo aveva tutto, o meglio, niente: un angolo cucina, un letto, una canna da pesca, un boccaporto superiore simile a quello dei sottomarini, quattro oblò per controllare l’esterno e in basso, giusto per dare un’occhiata ai pesci che avrebbe incrociato durante la traversata. Quindi una bottiglia di vino bianco per festeggiare il capodanno e una di rosso per ricordarsi del suo compleanno in completa solitudine. A bordo anche strumenti forniti dal “Wallerstein Medical Center” di Arès, la sua città natale, che attirati dall’idea solo all’apparenza strampalata hanno chiesto di monitorarlo per capire le reazioni del fisico in un ambiente angusto sottoposto a movimento continuo e ininterrotto.
Al suo arrivo, Jean-Jacques Savin è tato celebrato come un eroe, e pare che a qualcuno abbia confidato di avere già in mente la prossima avventura.