La mattina dell’8 aprile 1994, Gary Smith, un elettricista della “Vega Electric” incaricato di installare l’illuminazione di sicurezza nella serra di una casa sul lago Washington, intravede attraverso i vetri un corpo disteso a terra. È quello di Kurt Cobain, il leader dei Nirvana: sembrava dormisse, dichiarerà l’elettricista. Gli usciva un po’ di sangue dal naso e da un orecchio. Accanto al corpo un fucile Remington M-11 calibro 20 e una lettera di addio indirizza a “Boddah”, l’amico immaginario di quando era un bambino, che in un passaggio recitava: “È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”.
Fragile, disperato, inquieto, gracile: un angelo biondo che lottava da tempo contro la dipendenza dall’eroina ed era in lotta perenne con i media, che martellavano lui e sua moglie Courtney Love per lo stile di vita irriverente. Muore dimenticando del tutto di essere diventato un’icona vivente della musica grounge e un musicista capace di influenzare la musica e la cultura giovanile degli anni Novanta.
Kurt Donald Cobain era nato ad Aberdeen, Washington, figlio di un meccanico e di una barista. È un bambino tranquillo che dimostra un certo talento: disegna personaggi dei fumetti con cui tappezza la propria cameretta, ma soprattutto ha un orecchio musicale sorprendente. A quattro anni impara a suonare il pianoforte, ascolta i Ramones e i Beatles, ma subisce un profondo shock quando i genitori decidono di divorziare.
Nel 1987, insieme al bassista Krist Novoselic e il batterista Dave Grohl fonda i “Nirvana”, band destinata a diventare una delle più celebri in tutto il mondo: quattro anni dopo l’esordio pubblicano “Nevermind”, il loro capolavoro, un pilastro della musica rock che da solo vende 30 dei 75 milioni di album che i Nirvana venderanno nella loro breve e intensa storia.
Un successo che non basta a Kurt, minato dalla depressione e dal timore di aver perso per strada lo smalto che aveva dato la spinta propulsiva ai Nirvana. L’unica via di fuga è l’eroina, di cui fa un uso smodato per fuggire da tutto, anche dal rapporto con la moglie, ormai disseminato da litigi continui.
L’ultimo concerto il 1° marzo 1994 a Monaco, in Germania: da lì vola a Roma con la moglie e la figlia per una breve vacanza in cui spera di riprendersi da una bronchite e una laringite. Durante la notte all’Hotel Excelsion, Courtney si accorge che suo marito è in overdose: lo ricoverano al policlinico Umberto I, dove resta in coma farmacologico per una notte. Torna negli Stati Uniti, ma le cose non migliorano: l’idea che voglia farla finita è un tarlo nella mente di Courtney Love, che tenta di controllare il marito in ogni modo. Poi arriva la mattina dell’8 aprile 1994, quando Kurt ce l’ha fatta, entrando nel triste “club dei 27”. Gli artisti morti a soli 27 anni di età, con tutta una vita davanti, ma troppo dolore per credere che sia possibile.