A chi non è appassionato d’auto e motori, il nome di Lee Jacocca, morto questa mattina a 94 anni, dirà assai poco. Eppure, fra le poche leggende che non hanno avuto bisogno di immolarsi morendo in pista o vincendo gare su gare, il suo nome ha svettato, come un gigante.
Figli di immigrati italiani, ha perfettamente incarnato il “sogno americano” rivestendo per decenni il ruolo di eminenza grigia dell’automobilismo mondiale, che significa avere un peso specifico enorme anche sulle scelte del resto del mondo. Negli anni d’oro Detroit era ai suoi piedi: prima alla Ford, poi alla Chrysler avviata bancarotta, che riuscì a salvare. Ma per chi ama le quattro ruote, il nome di Iacocca sarà per sempre legato alla “Mustang”, uno dei modelli più iconici di sempre ed uno dei più venduti nell’ultracentenaria storia dell’automobile.
Lido Anthony Iacocca era nato nel 1924 ad Allentown, in Pennsylvania, da Nicola Iacocca e Antonietta Perrotta, entrambi originari di San Marco dei Cavoti, in provincia di Benevento. Dopo aver lavorato nelle acciaierie della Pennsylvania i due erano riusciti ad aprire lo “Yocco’s Hot Dog”, un fast-food che avrebbe almeno permesso qualche3 agio in più, come risparmiare al piccolo Lee un futuro nelle acciaierie. Va esattamente così: il loro primogenito si diploma e prende la laurea in ingegneria alla “Lehigh University”, vincendo subito dopo una borsa di studio che gli apre le porte della prestigiosa “Princetown University”.Nel 1946 entra alla Ford come ingegnere, passando poco tempo dopo al settore commerciale e quindi allo sviluppo prodotto. Il suo nome diventa una leggenda degli uffici marketing: inventa dal nulla la campagna “56 for 56” in cui batte palmo a palmo la zona che gli è stata assegnata vendendo auto del 1956 a rate di 56 dollari al mese. È un successo di tale portata che stupisce perfino i piani alti della Ford, che lo richiamano nominandolo presidente nel 1964. È iacocca a volere la “Mustang”, la muscle-car democratica, nata per accontentare i “Baby boomes” nati dopo la fine della guerra che non potevano permettersi altro che i sogni. Sua anche la più popolare “Fiesta”, altro successo mondiale e la creazione del marchio di lusso “Mercury”, ben prima di quanto abbiano fatto in tempi recenti quasi tutti i marchi. Finito in contrasto con Henry Ford II, nel 1978 viene clamorosamente licenziato: ad approfittarne è la Chrysler, che dopo un lungo corteggiamento ottiene il via libera da Iacocca, a cui affida un compito disperato: salvare l’azienda dalla bancarotta. La cura di Lee è drastica: riduce gli operai, svende la divisione europea a Peugeot e porta in dote un progetto che aveva pronto per la Ford, quello del “Mini Max”, che si traduce nella nascita di “Dodge Caravan” e “Plymouth Voyager”, due modelli che tracciano la strada inaugurando segmenti fino ad allora esplorati. Sono un successo, ma non basta ancora, e Lee Iacocca gioca il tutto per tutto: prende fiato e si rivolge direttamente al Congresso degli Stati Uniti, a cui chiede sovvenzioni e garanzie per i mutui. Era il 1979, e nessuno mai aveva osato tentare un’operazione simile: sulla spinta della minaccia della perdita di migliaia di posti di lavoro, il Congresso fa la sua parte, anche se ufficialmente si limita a fornire garanzie che ridanno fiato all’azienda.
Il nome di Lee Iacocca a quel punto valica i confini automobilistici per approdare ovunque come l’uomo delle imprese impossibili: nel 1982, Ronald Reagan lo vuole a capo della fondazione “Statue of Liberty-Ellis Island” che ha il compito di mettere insieme i fondi per ristrutturare “Miss Liberty”. Due anni dopo esce la sua autobiografia, “Iacocca: an Autobiography” che diventa un best-seller, le cui vendite sono destinate alla lotta al diabete, male che anni prima si era portato via sua moglie Darrien.
Tornato più volte in Italia, nel paese dei genitori, Iacocca dedica gli ultimi anni aprendo un sito che mette in evidenza le carenze del sistema americano, dalla sanità alle energie alternative, spiegando anche come valutare un candidato alla presidenza americana. “Mio padre era solito dire che se quando muori ti ritrovi con cinque veri amici, allora hai trascorso una grande vita”.