Alle 20:15 del 19 marzo 2002, Marco Biagi muore fra le braccia degli operatori del 118, chiamati in via Valdonica, nel centro di Bologna, dove qualcuno gli aveva appena sparato mentre rientrava a casa in bicicletta, come ogni sera. Aveva 52 anni, due figli, una moglie.
Le Nuove Brigate Rosse, quella stessa notte, rivendicano l’attentato contro quello che considerano uno degli uomini dello Stato che più si è battuto per la ristrutturazione del mondo del lavoro, firmando il "Libro Bianco", la sua eredità. Biagi era un uomo tranquillo, nato nel novembre del 1950 a Bologna: dopo la maturità classica si iscrive a giurisprudenza e a 22 anni esce con una laurea accompagnata dal massimo dei voti. Il mondo del lavoro è quello che lo affascina di più: si specializza, insegna, vince cattedre e concorsi, scrive libri e trattati. Lavora per la Commissione europea e per i ministeri italiani, fino ad essere chiamato a Roma, come consigliere dell’allora premier Romano Prodi. Ma è nel 1999, quando è tra i firmatari del “Patto Milano Lavoro”, una sperimentazione concertata con le parti sociali per dare uno scossone al mondo del lavoro nelle fasce a rischio emarginazione, che Biagi entra negli obiettivi del terrorismo. Riceve diverse minacce e finisce sotto scorta, che gli viene tolta alla fine del 2001. Cinzia Banelli, terrorista pentita, ammetterà durante il processo che se Biagi avesse avuto la scorta non sarebbero riusciti a ucciderlo: “Non eravamo abituati ai conflitti a fuoco”.
Marco Biagi temeva per la propria vita: poco prima dell’agguato aveva scritto cinque lettere, indirizzate al presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, al ministro Maroni, al sottosegretario al lavoro Maurizio Sacconi, al prefetto di Bologna e la direttore generale di Confindustria Stefano Parisi, in cui palesava la preoccupazione per il modo in cui i suoi avversari criminalizzavano la sua figura.
La riforma del mercato del lavoro di Marco Biagi sarà emanata dal governo Berlusconi il 14 febbraio 2003, un anno dopo i sei colpi di pistola della sera del 19 marzo 2002. Per il suo omicidio sono stati condannati all’ergastolo i brigatisti Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi, 21 anni a Simone Boccaccini.