MASSIMO NUMA
Ricordare il poliziotto Emanuele Petri è un dovere. Nel nome dei tanti Caduti delle Forze dell’Ordine, e di uno Stato che spesso si dimentica dei figli morti nel suo nome. E che furono uccisi in nome di astratti - ma non sempre - ideali politici o ragioni di Stato, perché anche questo è accaduto. Emanuele Petri morì il 2 marzo del 2003, 16 anni fa, a causa sopratutto delle sue qualità professionali. Era nella Polizia Ferroviaria, una vita fatta di tanti aspetti, anche di routine, anche di servizi apparentemente di secondaria importanza. Ma quell’istinto che è nell’anima e nella mente dei poliziotti veri, quella mattina alle 8,40, non lo fece sbagliare. C’erano due passeggeri sul treno proveniente da Roma e diretto a Firenze. Il vagone è semivuoto e i due mostrano documenti in apparenza veri, intestati al signor Domenico Marozzi e alla signora signora Rita Bizzarri. Dai primi controlli sembra tutto regolare. Invece Petri ha come un presentimento, decide di approfondire e viene fuori che sono falsi. E’ con altri due colleghi, decidono di procedere ma quelle carte d’identità abilmente falsificate nascondevano due militanti delle Brigate Rosse, Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, hanno più o meno 40 anni e sono latitanti e clandestini da molto tempo. Galesi ha una 7,65 e fa fuoco. E’ un gelido assassino, ha già ucciso i professori Massimo D’Antona e Marco Biagi, ha commesso rapine e altre azioni violente.
La pistola la punta alla testa di Petri mentre Lioce cerca di disarmare l’agente Giovanni di Fronzo, tenuto sotto tiro dal complice. Il poliziotto getta la pistola tra i sedili, lei l’afferra, tenta di ucciderlo ma l’arma si inceppa. Galesi spara e ammazza Emanuele Petri. Consuma poi tutto il caricatore contro il terzo agente, Bruno Fortunato, ferito in modo grave ai polmoni ma, mentre cade, riesce a a sparare e colpire il brigatista che morirà di lì a poco. L’agente Giovanni di Fronzo riesce a bloccare Nadia Desdemona Lioce, e la ammanetta ai binari. Condannata all’ergastolo, è rinchiusa nella sezione di massima sicurezza nel carcere dell’Aquila con condanna definitiva dal 2006. La limpida figura di Emanuele Petri, 48 anni, è quella di un eroe, una parola troppe volte usata anche a sproposito. Aveva lasciato soli moglie e un figlio. Fu insignito della medaglia d'oro al valore civile con questa motivazione: "Impegnato in servizio di scorta viaggiatori sul treno Roma-Firenze, notando due persone sospette, decideva, unitamente ad altri colleghi, di procedere al loro controllo. Ne seguiva una violenta colluttazione nel corso della quale veniva colpito a morte da alcuni colpi di pistola esplosi dai due, risultati essere pericolosissimi terroristi, permettendo così, con il sacrificio della propria vita, la cattura degli stessi. Fulgido esempio di attaccamento al dovere, coraggio e capacità professionale, poste al servizio della collettività". Suo figlio, oggi, fa il poliziotto. Aveva appena 9 anni quando gli ammazzarono il padre.