Di Germano Longo
Oggi “Die Mauer”, il Muro, è venduto nei negozi di souvenir: li chiamano “Mauerspechte”, sono piccoli pezzi di cemento colorati, forse dipinti da un bambino cinese durante l’ora d’arte. Ma se a Parigi non si può resistere alla Tour Eiffel, da Berlino bisogna portarsi via un pezzo del muro: il mondo va così. È un finale consumistico un po’ deprimente, che finisce per sciuparsi del tutto davanti al leggendario “Checkpoint Charlie”, il temibile posto di blocco sulla Friedichstrasse che divideva i minacciosi carri armati sovietici di Krushiov da quelli americani di Kennedy: da una parte un medioevo buio e triste, dall’altra il luccichio irresistibile dell’Occidente. Oggi dei figuranti in divisa dall’aria improbabile e un po’ clownesca sono pronti a posare per i flash dei turisti dietro pagamento di qualche euro. Si accettano le maggiori carte di credito.A Berlino, 30 anni dopo il 9 novembre del 1989, il Muro è un’attrazione che spunta ovunque, dalle vetrine Hard Rock Cafè in poi, ma per trovare quello vero si fa quasi fatica. Si dice che dopo quella notte le lastre in cemento siano state spedite in almeno 50 Paesi del mondo: diverse sono andati all’asta, e uno pare sia finito in un bagno pubblico di Las Vegas.
A Berlino ne restano un’ottantina di metri a Postdamer Platz, qualcosa di più sulle rive dello Sprea e una in Bernauer Strasse, dove nel 1999 è nato il memoriale e un centro di documentazione. Sono gli unici punti dove rivivere la vera storia di quella striscia di cemento e vergogna lunga 155 km, che per 28 anni ha diviso in due la città, una linea retta venuta su in modo testardo, anche a costo di passare in mezzo ad appartamenti che da un giorno all’altro si sono ritrovati con bagno e camera da letto nella zona est, e cucina e salotto in quella ovest.
Era successo tutto la notte tra il 12 ed il 13 agosto del 1961, un colpo di genio per fermare l’emorragia di gente che continuava a passare verso la zona ovest prima che tutti quei fucili iniziassero a sparare. Per primo era stato filo spinato, ma già tre giorni dopo compaiono lastre di cemento e pietra, e poco dopo le torrette di guardia, i cani, i soldati che hanno l’ordine di sparare a qualsiasi cosa si muova: i 2,5 milioni di persone passate dall’altra parte fino a quel momento, scendono di colpo a meno di 5mila. Doveva servire come “protezione antifascista” della DDR, finì per diventare il simbolo dell’assurda tirannia comunista, il primo tic-tac di una bomba a orologeria che qualche anno dopo avrebbe distrutto un mondo ormai esausto.
L’anno successivo, nel 1962, il Muro si sdoppia, e fra i due nasce la “striscia della morte”, una zona pattugliata giorno e notte in cui troveranno la morte decine di persone, compreso Peter Fechter, un 18enne ferito dai proiettili delle guardie della DDR e lasciato morire dissanguato sotto gli occhi del mondo, senza che nessuno potesse fare niente.
Per rendere ancora più difficili i tentativi di fuga, tre anni dopo arriva la terza generazione del Mauer: 45mila lastre di cemento armato alte 3,6 metri con tubi di cemento sulla sommità. Non bastano neanche quelle a far cambiare idea a chi vuole saltare verso l’Occidente: ci provano in ogni modo, usando qualsiasi stratagemma, dalle gallerie alle mongolfiere, e per qualcuno che ce la fa e lo racconta ancora oggi, altri 240 pagano con la vita.
Ma gli anni Ottanta si avviano alla fine e anche il cielo sopra Berlino inizia a cambiare il colore delle nuvole: le pressioni internazionali, l’apertura dell’Ungheria verso l’Austria, l’ascesa di Michail Gorbaciov e della sua “Perestroika”, e le dimissioni del leader della DDR Erich Honecker, che pochi mesi prima si era augurato “altri 100 anni di Muro”, mettono sotto torchio il Politburo, che il 9 novembre 1989 annuncia in una conferenza stampa affollatissima una nuova concessione di passaggio del confine ai berlinesi in possesso di un inedito permesso. Quando qualcuno chiede i tempi dell’entrata in vigore della norma: Günter Schabowski, ministro per la propaganda della DDR, in un istante infinito si sente addosso il peso del mondo intero, e in mancanza di altre ordini mormora due parole passate alla storia: “Sofort, unverzüglich”, subito, immediatamente.
Il resto di questa frammento di umanità ritrovata lo raccontano le immagini che mostrano migliaia di berlinesi dare l’assalto al Muro con quello che avevano: picconi, martelli, cacciaviti, a mani nude. Le guardie tempestano di telefonate i comandi per sapere cosa fare, poi lasciano cadere a terra i fucili, alzano le sbarre e spostano il filo spinato. 28 anni e 943 morti dopo, il Muro che divideva in due il mondo stava crollando, per frantumarsi in tanti piccoli souvenir.