Di Germano Longo
Forse non è vero che la morte è una “livella”, come diceva il grande Totò. Forse anche nel destino più tragico c’è un podio con vincitori e vinti. Ventiquattro anni fa, il 30 aprile 1994, prove libere del Gran Premio di San Marino, la “Simtek” di Roland Ratzengerber perde la parte superiore destra dell’alettone anteriore all’uscita della curva del Tamburello: lo schianto a 319 km/h contro il muro esterno della “Gilles Villeneuve” è impressionante. Per il pilota austriaco, 34 anni, non c’è niente da fare: trasportato in elicottero all’Ospedale Maggiore di Bologna non riprenderà mai conoscenza.Il gran premio maledetto aveva iniziato a farsi sentire già il giorno prima, con un incidente che era costato la gara e un grande spavento a Rubens Barrichello, letteralmente decollato sui cordoli della variante bassa ma salvato dalla prontezza dei medici.
Ma il peggio, gli appassionati lo sanno bene, doveva ancora arrivare. Il giorno della gara a Imola si respira un’aria pesante, Ayrton Senna, amatissimo campione brasiliano, è fra i più ombrosi: scoppia in lacrime, vorrebbe non correre, telefona, scrive, è nervoso. Un presentimento, si dirà, forse un po’ di paura, quei brividi che semplicemente ci rendono umani.
Sale ugualmente sulla sua Williams FW16 con la bandiera austriaca pronta da sventolare, in ricordo del collega scomparso il giorno prima. Non farà in tempo: al 7° giro della gara, di nuovo alla curva del Tamburello, il piantone dello sterzo della Williams si stacca conficcandosi nel casco di Senna. Per la terza volta in quel week end infinito l’elicottero si alza in volo per l’Ospedale Maggiore di Bologna, ed è l’ennesimo viaggio senza speranze: Ayrton Senna muore alle 18:40 del 1° maggio 1994, senza mai riprendere conoscenza. Aveva 34 anni, la stessa età di Roland Ratzenberger.
Ma è la morte di Senna a tenere banco, perpetrata dalla diretta televisiva, in uno dei più alti picchi di ascolto di ogni tempo. Due coetanei, uno di successo l’altro alla ricerca della consacrazione, finiscono a pochi metri di distanza, coperti da lenzuola bianche sui tavoli dell’obitorio di un ospedale assediato dai media, in cui tutti vogliono notizie di Ayrton Senna.
Roland Ratzenberger muore nel giorno sbagliato, e il suo nome arriverà per sempre qualche riga dopo quello del pilota brasiliano. I due si conoscevano, erano seguiti dallo stesso fisioterapista, ma Senna era un semidio, tre volte campione del mondo, uno che correva d’istinto senza mostrare nessuna paura: un eroe vero, ma con l’aria triste e malinconica, come quegli attori che quando sono in scena sembrano posseduti da chissà quale demonio, ma giù dal palco non hanno maschere.
Ratenzberger no. La sua carriera stentava, sapeva bene che il divario con gente come Senna, Prost, Irvine e Schumacher era enorme. Correva senza contratti miliardari nel cassetto, pagato a gettone ogni volta che scendeva in pista. Dopo i kart aveva trovato la “Simtek”, scuderia vissuta un paio di stagioni appena nel circo della F1 senza mai conquistare neanche un punto, costola sportiva di un’azienda che aveva fatto fortuna con le macchine da cucire.
L’autopsia dimostrerà che Ratzenberger muore sul colpo con la spina dorsale spezzata, ma si finge il ricovero d’urgenza per evitare la sospensione del GP e il sequestro del circuito. L’ultima pagina è la più triste, come ogni passaggio di tutta queste storia, fatta di gente giovane morta perché ogni domenica amava sfidare il destino per mestiere. È il presidente brasiliano Itamar Franco a chiamare Scalfaro per chiedere di accorciare la burocrazia. Il feretro di Ayrton Senna torna in Brasile in business class, smontando due file di sedili: ad accoglierlo c’è l’esercito e un camion che attraversa San Paolo fra due ali di folla in lacrime e un paese intero che si ferma, disperato.
A quello di Ratzenberger vanno in pochi: Rudolf, Margit, Gabi ed Elisabeth, il padre, la madre e le due sorelle, poi Berger e Lauda, che legge un discorso, e Max Mosley, ex presidente della FIA: “Roland è stato dimenticato. Sono andato al suo funerale perché tutti sono andati a quello di Ayrton”.