Una nuova raffica di perquisizioni negli uffici di alcuni dei principali marchi tedeschi, sono il chiaro indizio che sullo scandalo del “dieselgate” non è ancora arrivata la parola fine. Proprio in questi giorni, un centinaio di agenti, su mandato della procura di Monaco di Baviera e della “KBA”, l’autorità federale dei trasporti, sta perquisendo a fondo il quartier generale BMW, compreso il centro di ricerca e sviluppo e lo stabilimento di Steyr, in Austria, dove si producono i turbodiesel.
Anche su BMW, finora rimasta a margine dello scandalo, pesa il sospetto di aver truccato i sistemi che limitano le emissioni inquinanti su almeno 11mila veicoli venduti nella stessa Germania. BMW ha tentato una difesa parlando di inconveniente nelle procedure di installazione del software, ma la versione non ha convinto la procura.
Nuove perquisizioni anche in tredici uffici di Wolfsburg, quartier generale del gruppo Volkswagen, a cui finora il dieselgate è costato 22 milioni di dollari, ma cifra che andrà comunque rivista in rialzo quando class action e cause civili arriveranno a conclusione. L’accusa, a margine della manipolazione delle centraline, riguarderebbe il condizionamento del mercato e la mancata trasparenza verso gli investitori, divulgando informazioni false sui propri prodotti.
Secondo un’indagine condotta da “Altroconsumo”, “Test-Achats” e “DecoProteste” in Italia, Spagna, Belgio e Portogallo, il 45% dei possessori di Volkswagen sottoposte ad intervento in officina per rimuovere il “defeat device”, il software incriminato, afferma che dopo l’operazione l’auto non sembra più la stessa: improvviso aumento dei consumi, perdita di potenza, problemi meccanici e maggiore rumorosità.