Il 20 dicembre 1984, alle 20:15, Jonelle Matthews, 12 anni, stava per tornare nella casa dove viveva con la sua famiglia a Greeley, nel nord del Colorado: ha appena partecipato ad uno spettacolo natalizio in una casa di cura con il coro in cui canta, il “Franklin Middle School Honor Choir”. Era d’accordo con il padre Jim e la sorella Jennifer che sarebbero passati a prenderla al termine di una partita di basket, per tornare a casa insieme. Alle 20:30, un amico di suo padre si offre di darle un passaggio: quella sera fa parecchio freddo. La vedono per l’ultima volta mentre entra nella casa di famiglia in stile ranch, con il garage a fianco e il cortile davanti coperto di neve.
Un’ora dopo, il padre e la sorella arrivano a casa e Jonelle non c’è: scomparsa. In casa la televisione e le luci sono accese, la porta del garage aperta e diverse impronte segnano il prato davanti e dietro l’abitazione: la polizia avanza l’ipotesi di un rapimento. Ma i giorni passano e nessuno si fa vivo, fin quando gli investigatori comunicano alla famiglia che la nuova indagine si concentra su una possibile aggressione a scopo sessuale, probabilmente culminata con un omicidio.
Il caso della dodicenne colpisce la piccola comunità montana di Greeley e attira perfino l’attenzione dell’allora presidente Reagan, trasformando quel Natale in uno dei più tristi che la gente di quelle parti ricordi. Fu proprio il caso irrisolto di Jonelle a convincere Reagan della necessità di aprire un centro di coordinamento nazionale per i bambini scomparsi collegato ad una linea telefonica gratuita: “Ogni anno scompaiono più di un milione di bambini”, aveva raccontato Reagan per esortare i giornalisti della “National Newspaper Association” a pubblicare sui giornali le immagini dei bimbi scomparsi.
La polizia diffonde video di Jonelle, la famiglia tappezza di manifesti i dintorni e centinaia di volontari battono per settimane la zona palmo a palmo, ma non c’è nulla da fare. Negli anni, qualche notizia riaccende le speranze: nell’abitazione di un uomo del South Dakota, perquisita per altri motivi, vengono ritrovati decine di ritagli di giornale sul caso di Jonelle, ma l’uomo non c’entra, ha un alibi di ferro. Tempo dopo spunta anche un mitomane, un camionista che si autoaccusa del rapimento e l’omicidio della dodicenne, ma si scopre poco dopo che si tratta di malato di mente.
Com’è inevitabile, la sparizione di Jonelle Matthews finisce fra i “cold case”, quelli mai risolti: non ci sono mai stati sospetti e tantomeno arresti, e di lei soprattutto si è persa ogni traccia.
Nel 1994, dopo dieci anni di silenzio, la famiglia Matthews dichiara polemicamente la morte di Jonelle: viene organizzata una funzione, e ai giornalisti presenti la famiglia dichiara: “Abbiamo passato 10 anni senza sapere nulla e senza alcuna risposta. Chiediamo almeno le prove che dimostrino che Jonelle è morta e di indicarci dov’è il suo corpo, così da avere un posto dove piangerla”.
Il DNA di Jonelle viene inserito in un database nazionale, e nel 2013, la polizia pubblica una foto di come potrebbe essere diventato il suo volto. Una nuova speranza sembra farsi strada nel 2014, quando alcune ossa umane sono ritrovate per caso vicino ai binari ferroviari di Greeley, ma le analisi appurano che non si tratta di Jonelle.
Qualche giorno fa, il colpo di scena: 34 anni dopo, la polizia ha rintracciato i Matthews, che oggi vivono in Costa Rica, per dare loro una notizia: i probabili resti di Jonelle sono stati rinvenuti da una squadra di operai durante gli scavi per un nuovo gasdotto nella contea di Weld County. Per la polizia di Greeley, che in realtà non ha mai smesso di indagare sulla scomparsa della ragazzina, il ritrovamento dei resti di Jonelle è solo il primo passo: quello successivo sarà determinare le cause della morte e subito assicurare alla giustizia il suo assassino.
La notizia è stata accolta con un sollievo dalla famiglia Matthews: Jennifer, la sorella di Jonelle che oggi vive nello stato di Washington, la ricorda come “Una dodicenne forte e indipendente sapeva come ottenere ciò che desiderava”. La notte della scomparsa, Jennifer stava giocando a basket con la squadra del liceo, di cui faceva parte: “Sono grata per la conclusione di questa vicenda, dopo 34 anni di attesa in cui abbiamo ricevuto amore e sostegno da tante persone. Sono vecchie ferite da riaprire e domande che attendono una risposta da troppo tempo”.
“L’indagine è aperta”, ha commentato la polizia di Greeley, perché Jonelle è stata uccisa e qualcuno per quello pagherà.