di Marco Belletti
Nell’agosto 2007, il cittadino tedesco residente in Namibia Heinz Knierim fu arrestato con l’accusa di stupro e fu collegato a una serie di omicidi irrisolti avvenuti lungo la “B1”, la principale strada del Paese africano. Fu ribattezzato immediatamente il “macellaio della B1” ma fu scagionato qualche tempo dopo.
La vicenda del macellaio era ufficialmente iniziata un paio di mesi prima, tra giugno e luglio, quando furono trovati resti umani lungo l’arteria che taglia la nazione africana da nord a sud, nella regione centrale di Khomas, nei pressi del grande centro urbano Windhoek. Si trattava di parte dei corpi di due donne infilate in sacchi della spazzatura. In seguito alle indagini, emerse che già nel 2005 erano stati commessi due omicidi simili, sempre di donne, rimasti irrisolti: anche questi precedenti casi furono attribuiti al macellaio della B1.
Purtroppo le macabre scoperte proseguirono: in agosto furono ritrovati la testa e un braccio di un’altra donna e altre parti del corpo della stessa vittima (tuttora non identificata) furono rinvenute qualche giorno dopo un po’ più a nord, sempre lungo la B1.
Dopo la scoperta dei corpi, numerose donne namibiane scrissero una lettera aperta all’assassino, chiedendogli di consegnarsi alla polizia e di rivelare i luoghi dove aveva seppellito le parti mancanti, in modo da dare alle vittime una degna sepoltura.
Gli omicidi ebbero una vasta eco mediatica, tanto da far nascere il soprannome splatter per l’assassino e spingere gli inquirenti a chiedere aiuto ad alcuni detective esperti nella caccia di serial killer che operavano in Sudafrica.
Le cinque vittime erano ragazze o donne di mezza età. Solo tre furono identificate: Juanita Mabula di 21 anni, uccisa nel 2005; Melanie Janse, ventiduenne anche lei, trovata morta nel 2005; e Sanna Helena Garoës, di 36 anni, l’unica vittima identificata delle tre uccise nel 2007. Le altre due ritrovate quell’anno ancora oggi non hanno un nome.
Le tre vittime riconosciute erano namibiane e parlavano afrikaans e damara, un dialetto del luogo. Tutte le parti dei corpi delle donne mostravano segni di congelamento anche se non è stato possibile capire per quanto tempo fossero state conservate in un frigorifero. Solo per due di loro fu chiarito il modo con cui furono uccise: strangolamento per Janse, mentre Mabula fu colpita alla testa con un oggetto non identificato. Sicuramente almeno due delle vittime erano prostitute - lavoravano nel centro di Windhoek - e sembra che si conoscessero fra loro.
È con queste poche certezze che gli investigatori arrestarono Knierim, già sospettato di aver stuprato una ventinovenne namibiana vicino a Windhoek il mese precedente. Sembra che dopo lo stupro avesse tentato di strangolare la donna e fu così facile collegarlo agli omicidi della B1. Knierim respinse sempre tutte le accuse e sebbene le prove contro di lui fossero decisamente inconsistenti, fu rilasciato solo nel febbraio 2010. L’uomo intentò quindi causa al governo della Namibia per l’ingiusta accusa di essere stato ritenuto il macellaio della B1.
Nel frattempo gli inquirenti avevano iniziato a seguire una seconda pista, quella di Hans Husselmann. Condannato alcuni anni prima all’ergastolo per un duplice omicidio, l’uomo (originario della città di Rehoboth) era stato rilasciato nel 2004 e nel 2008 si era tolto la vita dopo essere stato coinvolto nelle indagini per la caccia al macellaio. Nel suo appartamento furono rinvenute tracce del DNA della Garoës mentre quello di Husselmann fu ritrovato su una lettera inviata alla polizia che parlava dell’omicidio di Juanita Mabula. Non fu tuttavia possibile collocare queste prove in tempi coerenti con gli omicidi e quindi Husselmann fu scagionato. Tra gli inquirenti si fece strada l’ipotesi che i killer potessero essere più persone.
Senza un colpevole, i ritrovamenti macabri in Namibia proseguirono. Nel 2010 in una fattoria a Rehoboth furono rinvenuti una testa e un braccio: dopo i primi timori che il macellaio fosse tornato in azione, la polizia non ritenne probabile un legame con gli omicidi precedenti in quanto i resti del corpo erano lontani dalla B1 e bruciati senza alcuna traccia di congelamento. Anche questo caso di omicidio è rimasto irrisolto, causando critiche aggiuntive su efficacia ed efficienza degli inquirenti. A peggiorare ulteriormente la situazione nei confronti della polizia namibiana fu l’omicidio della studentessa diciassettenne Magdalena Stoffels, uccisa dopo essere stata violentata a Windhoek il 27 luglio 2010, e ritrovata nel letto di un fiume vicino alla scuola superiore che frequentava. Qualche ora dopo un trentaduenne di nome Junias Fillipus fu sorpreso mentre lavava i suoi vestiti nello stesso fiume, a poche centinaia di metri da dove era stato ritrovato il corpo della ragazza. Graffi sul corpo e macchie di sangue spinsero i poliziotti ad arrestare l’uomo.
Descritto come uno dei più gravi casi di violenza avvenuto in Namibia, l’omicidio di Magdalena riaccese il dibattito sulla reintroduzione della pena di morte e spinse migliaia di persone a manifestare affinché le istituzioni provvedessero a prendere provvedimenti più efficaci contro l’elevato tasso di criminalità nel Paese.
Dopo circa un anno, Fillipus fu rilasciato in quanto - nonostante le prove raccolte - non poteva essere inequivocabilmente collegato al crimine. Nel 2012 l’uomo ha denunciato la polizia namibiana per arresto e detenzione illegali e perseguimento doloso: le accuse sono state rigettate.
Al momento tutte le indagini sono sospese in mancanza di nuove tracce per trovare il colpevole, e i casi sono ormai diventati decisamente freddi.
Nel 2013 a Magdalena Stoffels è stato dedicato un nuovo ponte pedonale sul fiume dove fu uccisa. Delle altre cinque vittime non si ricorda più nessuno.