Di assassini che hanno riempito la storia dell’umanità di sangue ce ne sono a centinaia, ma nessuno – mai – è riuscito a superare nella più macabra delle classifiche “Jack the Ripper”, nome originale di “Jack lo squartatore”, l’imprendibile killer delle notti londinesi di fine Ottocento, da sempre avvolto nel mistero più fitto.
E dire che la carriera di Jack fu perfino molto rapida: è accusato degli omicidi di Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly, compiuti tra il 31 agosto e il 9 novembre del 1888 nell’allora degradato quartiere di Whitechapel, a Londra.
In realtà, secondo gli studiosi che nel tempo si sono appassionati al caso, a Jack potrebbero essere attribuiti fra 4 e 16 omicidi, anche se mancano riscontri oggettivi ormai difficili da individuare. Anche il suo modus operandi è diventato celebre: le sue vittime preferite erano prostitute che assassinava sgozzandole per poi infierire sui loro corpi in modo orribile. Perfino i moderni profiler di Scotland Yard si sono arresi, limitandosi a parlare di un maschio bianco, di età compresa fra 28 e 36 anni. Una persona che viveva o lavorava nella zona di Whitechapel, con molta probabilità l’assistente di un medico o un macellaio.
In un modo o nell’altro, Jack the Ripper è rimasto una sorta di fantasma capace ancora oggi di sfuggire alla storia. Ma anche quest’ultimo limite invalicabile, sarebbe stato superato grazie alle più moderne tecniche forensi applicate sul Dna: ben 130 anni dopo i suoi omicidi, un team di esperti ritiene di aver finalmente scoperto chi si nascondeva dietro la misteriosa figura.
A fornire la prova decisiva uno scialle di lana ricoperto di sangue trovato sulla scena di un omicidio, che si ritiene possa contenere il Dna di Catherine Eddowes, penultima vittima ufficiale di Jack, ma anche quello dello squartatore. Jari Louhelainen, biochimico della LJMU e uno dei coautori dello studio, era riuscito ad entrare in possesso dello scialle nel 2007.
Gli autori della clamorosa ricerca hanno illustrato sul “Journal of Forensic Sciences” i risultati della loro ricerche. “Abbiamo realizzato per la prima volta un’analisi sistematica e a livello molecolare più avanzata mai fatta delle uniche prove fisiche sopravvissute legate agli omicidi di Jack lo Squartatore. Trovare entrambi i profili corrispondenti nello stesso elemento di prova aumenta la probabilità statistica della sua identificazione complessiva e rafforza l’affermazione che lo scialle sia autentico”.
Gli esperti hanno confrontato frammenti di DNA mitocondriale prelevato dallo scialle con quelli presi dai discendenti di Aaraon Kosminski, barbiere polacco di 23 anni per lungo tempo principale sospettato degli orribili crimini del 1888, ma non c’erano prove sufficienti. I test suggeriscono che Jack aveva occhi e capelli castani, dettaglio che corrisponde alle dichiarazioni dei testimoni oculari dell’epoca. Kosminski non fu mai perseguito per i crimini e nel 1891 fu internato al “Colney Hatch Lunatic Asylum”, dove la malattia mentale assunse la forma di allucinazioni uditive. Si diceva che avesse una paura paranoica di essere nutrito da altre persone e di entrare a contatto con l’acqua.
La ricerca, per quanto meticolosa, è stata criticata dai genetisti che ritengono fossero necessarie ulteriori analisi.