È una denuncia forte che sta toccando il Regno Unito, quella lanciata da Tamira Harvey, una delle figlie di Thomas, 57 anni, infermiere della “NHS”, il servizio sanitario britannico, secondo la famiglia morto per “gravi negligenze da coronavirus”.
In un momento così delicato, con gli ospedali inglesi al collasso e il numero di contagi e morti in crescita esponenziale, ed il premier Boris Johnson sotto accusa per la tiepida reazione all’arrivo della pandemia, le accuse della famiglia dell’uomo diventano un macigno e lo specchio sulla realtà ormai allo sbando della sanità pubblica inglese.
Malgrado Thomas Harvey non sia mai riuscito ad essere sottoposto a un test per il Covid-19, la NHS ha ammesso che l’infermiere aveva contratto il virus. Secondo la figlia, lo stato di salute del padre è stato sottovalutato dall’ospedale dove per vent’anni ha prestato servizio, convinto che la sua fosse una missione, prima ancora che un lavoro.
Tamira accusa il “Goodmayes Hospital” di Londra di non aver fornito al padre i necessari dispositivi di protezione individuale, e pochi giorni prima della morte i servizi di emergenza hanno “negato” l’invio di un’ambulanza per il trasporto d’urgenza, malgrado la famiglia continuasse a ripetere che “non respirava bene”.
Secondo il direttore dell’ospedale dove prestava servizio, quando Thomas Harvey si è messo in mutua per malattia, seguendo il protocollo previsto per il personale ospedaliero, all’interno della struttura non c’erano ancora pazienti sintomatici conclamati. Il servizio ambulanze di Londra (LAS), accusato di aver rifiutato il trasporto in ospedale dell’uomo, non ha commentato direttamente, aggiungendo di “assistere ad una valanga di chiamate senza precedenti”, con più di 8.000 richieste di aiuto ogni giorno. Ma dai registri risulta comunque che quando sono stati chiamati, il giorno della morte di Harvey, i medici sono arrivati in “sei minuti”. Ma Tamira non sente ragioni, e resta fermamente convinta che la colpa della morte del padre sia tutta delle direttive emanate dal governo inglese. La ragazza è persuasa che il padre abbia contratto il virus sul lavoro a causa della mancanza di guanti e mascherine: “Qualche giorno prima di morire ci ha detto che nel suo reparto avevano solo grembiuli e guanti fragilissimi, che si rompevano dopo poco”. Il 29 marzo scorso, quando Thomas Harvey è crollato nel bagno della sua abitazione di Hackney, i suoi familiari hanno dovuto usare un’ascia per sfondare la porta e raggiungerlo, e quando la polizia e medici sono arrivati era ormai troppo tardi: è andato in arresto cardiaco ed è morto sul divano del soggiorno.
Tamira ha descritto l’esperienza come “devastante”, ma ha assistito di persona allo sforzo della polizia e dei paramedici nel disperato tentativo di salvare la vita di suo padre, e per questo si dice convinta che se fosse stato sottoposto al test avrebbe potuto salvarsi.
“Inizialmente pensava di avere l’influenza. Poi, a metà marzo, le sue condizioni sono rapidamente peggiorate: il respiro si è fatto pesante, ha perso l’appetito e trovava difficile perfino parlare”. Pochi giorni prima della morte, quando ha avuto il sospetto di essere vittima del contagio, Thomas si è confinato in soggiorno isolandosi dalla sua famiglia, nel tentativo di impedire che anche loro prendessero il virus. Nelle prime ore del 29 marzo, il fratello di Tamira ha sentito il padre uscire dal soggiorno e andare verso il bagno. Quando sua moglie è andata a vedere come stava era riverso a terra, ma con il suo corpo robusto aveva bloccato involontariamente la porta impedendo alla famiglia di aiutarlo.
Una pagina di GoFundMe creata per aiutare a sostenere la famiglia Harvey nelle spese del funerale ha raccolto più di 23.000 sterline (28.400 dollari). Ma i familiari hanno voluto condividere la propria esperienza per spiegare che il coronavirus è una minaccia ben più grave e subdola di quella che appare.