Malgrado il vago senso di colpa per aver messo il mondo in ginocchio, la Cina ha varato nuovi limiti alla pubblicazione di ricerche accademiche sulle origini del coronavirus. In base alla nuova direttiva, tutti i documenti accademici sul Covid-19 saranno soggetti a una verifica supplementare da parte del governo centrale prima di essere divulgati. È uno strano cambio di marcia, visto che diversi esperti in varie parti del Paese assicurano che fino a febbraio erano liberi di collaborare con centri di ricerca e colleghi di ogni parte del mondo per dividere analisi cliniche e pubblicare i risultati anche su riviste mediche internazionali.
La scelta sembra essere l’ultimo e insensato sforzo del governo per tenere sotto controllo la storia delle origini del coronavirus, che attualmente ha causato più di 100mila vittime e contagiato 1,7 milioni di persone in tutto il mondo. Dalla fine di gennaio, i ricercatori cinesi hanno pubblicato una serie di studi sul Covid-19 su autorevoli riviste mediche internazionali: alcune scoperte sui primi casi di coronavirus, compresa la conferma della facilità di contagio da uomo a uomo, sollevando interrogativi sui resoconti ufficiali diffusi dal governo che hanno scatenato feroci polemiche sui social media cinesi.
Per evitare altre critiche, sempre poco gradite a Pechino, le autorità obbligano la comunità scientifica cinese a stringere e limitare all’esterno i risultati delle proprie ricerche. “Penso sia uno sforzo coordinato per spostare le colpe della pandemia dalla Cina - ha detto un ricercatore che ha preteso l’anonimato per timore di ritorsioni - e non credo che tollereranno alcuno studio esterno che indaghi sull’origine della malattia”.
La direttiva stabilisce i livelli di approvazione dei documenti scientifici, partendo dalla supervisione da parte di comitati accademici universitari. Quindi vanno inviati al dipartimento di scienza e tecnologia del Ministero dell’Istruzione, che a sua volta li inoltra a una task force del Consiglio di Stato. Solo dopo che le università hanno ricevuto la risposta della task force, i documenti possono essere divulgati e pubblicati.
La direttiva si basa sulle istruzioni impartite durante una riunione del 25 marzo dalla task force del Consiglio di Stato sulla prevenzione e il controllo del Covid-19. Il documento è stato pubblicato per la prima volta venerdì mattina sul sito dell’Università Fudan di Shanghai, sparendo poche ore dopo.
Una stretta che nasce dai dubbi sulla versione ufficiale, che il virus si sia sviluppato nel mercato di Wuhan, passando da un pipistrello ad un umano attraverso un altro animale ospite. Ma i funzionari cinesi e i media statali hanno ripetutamente sottolineato che non vi è stata alcuna conclusione sull’esatta origine del virus, se non il sospetto che sarebbe stato creato negli Stati Uniti e portato in Cina dall’esercito americano. “Non è una sorpresa che il governo cerchi di controllare la ricerca scientifica, in modo che i risultati non mettano in discussione la versione sull’origine del virus che dev’essere unica e univoca. Il pericolo è che quando la ricerca scientifica è soggetta alla censura, finisca per minare ulteriormente la credibilità del governo, rendendo più convincenti le accuse. È importante che la comunità scientifica internazionale si renda conto che qualsiasi rivista o manoscritto divulgato da un istituto di ricerca cinese è stato sottoposto a un doppio controllo da parte del governo. È importante che gli scienziati sappiano leggere fra le righe, immaginando i passaggi eliminati dalla censura”.