Albert Bourla, amministratore delegato della “Pfizer”, ha elogiato “le quasi 44.000 persone che hanno altruisticamente scelto di partecipare alla nostra sperimentazione. Ognuno di voi ha contribuito a portare il mondo verso l’obiettivo comune di un potenziale vaccino per combattere questa devastante pandemia”, ha scritto in una lettera aperta ai volontari che hanno partecipato alla ricerca e la sperimentazione sul vaccino per il Covid-19 di Pfizer, condotta in Argentina, Sudafrica, Brasile, Germania e Turchia, nonché negli Stati Uniti. La lettera è stata pubblicata il 9 novembre, lo stesso giorno in cui la Pfizer ha annunciato che il vaccino era efficace più del 90%: “Voi siete i veri eroi, e il mondo intero vi deve enorme gratitudine”.
Ma l’Argentina, il Sudafrica, il Brasile e la Turchia dovranno accontentarsi di quella, perché (come la maggior parte dei paesi del mondo) non riceveranno abbastanza dosi di vaccino per immunizzare le proprie popolazioni, o almeno non a breve.
Nel frattempo, gli Stati Uniti e la Germania - insieme al Canada e al resto dell’Unione Europea - hanno stipulato contratti per dosi sufficienti per vaccinare più volte i loro cittadini. Mentre gli Stati Uniti lottano con problemi logistici - meno di 3 milioni di persone hanno ricevuto la prima dose finora - dovrebbero ricevere a breve forniture adeguate. L’America ha pre-acquistato 100 milioni di dosi del vaccino Pfizer per 1,95 miliardi di dollari, con l’opzione di altre 100 milioni: il Paese si è anche assicurato 200 milioni di dosi del vaccino Moderna, previste per il secondo trimestre del 2021, e ulteriori dosi di vaccino potrebbero arrivare da Ology, Sanofi, Novavax e Johnson & Johnson.
I colossi farmaceutici stanno avendo grandi benefici dalle loro scoperte mediche: lo stesso giorno in cui ha inviato la sua lettera, Bourla ha venduto più di 5 milioni di dollari delle azioni Pfizer. Secondo Morgan Stanley, grazie al vaccino l’azienda ha già guadagnato circa 975 milioni di dollari e si prevede ne intascherà altri 19 entro il 2021: il margine di profitto è stimato tra il 60 e l’80%.
La stima di 100 miliardi di dollari di vendite di un vaccino è stata chiaramente parte di ciò che ha attratto le aziende farmaceutiche verso la ricerca, ma per i partecipanti il calcolo è diverso. Nei paesi in via di sviluppo “si trovano persone che non dispongono di cure mediche di base”, ricorda Harriet Washington, medico e autrice di diversi saggi.
La relativa mancanza di supervisione e costi operativi più bassi sono alcune delle ragioni per cui le aziende farmaceutiche fanno la maggior parte delle loro ricerche nei paesi meno ricchi: i partecipanti alla sperimentazione in Sudafrica, Argentina, Brasile e Turchia “lavorano più a buon mercato rispetto a chi vive negli Stati Uniti e in Germania”, ma il problema etico che i Paesi in via di sviluppo abbiano meno accesso alle scoperte mediche nonostante si assumano una quota sproporzionata del rischio, è precedente alla pandemia. “Ci sono ingiustizie intrinseche che si perpetrano in ogni epidemia”.
Che partecipino o meno alla ricerca sui farmaci che combattono gli effetti delle droghe, chi vive nei paesi a basso e medio reddito spesso non ha accesso alle scoperte salvavita, venduti a prezzoi fuori dalle loro possibilità. La “Gilead”, che detiene il brevetto del farmaco per l’epatite C “sofosbuvir”, ha fornito un quadro chiaro e tragico di quanto questa dinamica possa essere mortale: solo una persona su sette che necessita del farmaco salvavita l’ha ricevuto, mentre migliaia di persone sono morte. Anche se molti farmaci alla fine diventano disponibili, l’accesso è spesso ritardato per chi vive nei Paesi in via di sviluppo, come nel caso dei salvavita per l’HIV, non ancora disponibili per circa 15 milioni di persone infette in tutto il mondo.
“Che si tratti di un nuovo farmaco o di un dispositivo medico, assistiamo a clamorosi ritardi - ammonisce Krishna Udayakumar, direttore fondatore del “Duke Global Health Innovation Center” - non ci sono tanti soldi disponibili nei paesi a basso e medio reddito e l’accesso dipende spesso dai finanziamenti, che sono sempre meno di quanto si vorrebbe”. Le conseguenze mortali del ritardo nell’accesso al vaccino Covid-19 saranno più visibili nel corso dell’anno: la maggior parte dei paesi non ne avrà abbastanza, mentre quelli più ricchi si stanno accaparrando le scorte.
Un’iniziativa internazionale per assicurare un accesso equo al vaccino, chiamata “COVAX Advance Market Commitment” e diretta dall’alleanza sanitaria pubblico-privata “Gavi”, punta a fornire ai paesi partecipanti un numero sufficiente di vaccini per immunizzare fino al 20% della popolazione entro la fine del 2021. Ma nel migliore dei casi, l’obiettivo lascia la stragrande maggioranza della popolazione senza vaccino.
“Quando la prima persona è stata vaccinata nel Regno Unito, avremmo dovuto vedere lo stesso in un paese in via di sviluppo - tuona Kate Elder, consulente di Médecins Sans Frontières – ma non è stato così, e non c’è alcuna previsione su quando la parte più povera del mondo potrà disporre delle dosi, sicuramente quando tutti in Europa e Stati Uniti saranno stati vaccinati”.
Lo sforzo internazionale per la distribuzione del vaccino è ostacolato da uno squilibrio globale di potere e di ricchezza: la Banca Mondiale fornisce aiuti ma sotto forma di prestiti che andranno rimborsati. “Siamo di fronte ad un vero apartheid del vaccino: il ritardo nell’accesso della cura avrà esiti disastrosi”.
Il Kenya, l’India e il Sudafrica hanno proposto all’Organizzazione Mondiale del Commercio la rinuncia ai diritti di proprietà intellettuale per i prodotti legati al coronavirus, compresi i vaccini. La proposta, sostenuta da 99 paesi, non è piaciuta a Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Regno Unito e Australia.