Tirata in ballo da Donald Trump e da alcune inchieste giornalistiche apparse su grandi testate americane, l’Organizzazione Mondiale della Sanità replica stizzita alle accuse di scarsa reattività e simpatie filocinesi che negli ultimi giorni piovono da tutto il mondo.
A ricordare il percorso del virus diventato pandemia è Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS nel corso di una conferenza stampa tenuta a Ginevra, sede dell’organizzazione. “Il 5 gennaio, l’OMS ha notificato ufficialmente a tutti gli Stati membri il nuovo focolaio e pubblicato una notizia sull’epidemia sul nostro sito web. Il 10 gennaio, cinque giorni dopo, abbiamo pubblicato un pacchetto di linee guida per i paesi con i consigli su come rilevare, testare e gestire potenziali casi e proteggere gli operatori sanitari. Lo stesso giorno, abbiamo convocato il nostro gruppo consultivo strategico e tecnico sui pericoli infettivi e per esaminare la situazione. Abbiamo nuovamente convocato il comitato di emergenza il 22 gennaio e ancora una settimana dopo, quando è stato reso noto che i contagi da uomo a uomo erano stati segnalati al di fuori della Cina e dopo aver dichiarato l’emergenza di rilevanza internazionale. A febbraio un team internazionale di nostri esperti ha visitato le provincie colpite in Cina per saperne di più sul coronavirus e trarre lezioni utili al resto del mondo. Sono 100 giorni che l’OMS è stato informato dei primissimi casi di ‘polmonite con causa sconosciuta’ in Cina”.
Ma secondo alcuni esperti, per una Trump non avrebbe tutti i torti, tirando fuori un argomento spinoso che desta il sospetto di parecchi. Per capire la frecciata della Casa Bianca è necessario tornare indietro al maggio 2017, quando nella sede ONU di New York bisogna scegliere il nuovo direttore dell’OMS. La Cina, allora, fa convogliare il voto di 50 paesi africani stretti alleati verso il nome di Tedros Adhanom Ghebreyesus, microbiologo, ex ministro della sanità etiope, su cui pesano i sospetti di aver insabbiato tre epidemie nel suo paese durante il suo mandato.
Il 14 gennaio scorso, ricordano diversi media in queste ore dopo la ricostruzione fornita in conferenza stampa da Ghebreyesus, l’OMS aveva diffuso un tweet in cui affermava che indagini preliminari cinesi “non dimostrano la diffusione tra umani”: peccato che allora l’epidemia fosse ormai una realtà conclamata quasi ovunque. E ben peggiore, secondo gli osservatori, è stato il silenzio assoluto verso Li Wenliang, il celebre oculista che tentò per primo di lanciare l’allarme e per questo fu arrestato e licenziato, salvo poi essere riabilitato poco prima di morire lui stesso per coronavirus.
I sospetti di appoggio e simpatia alla Cina vanno avanti: il 30 gennaio, a Pechino, dopo un incontro con Xi Jinping, il direttore dell’OMS spiega che “La Cina sta definendo nuovi standard nella lotta alle epidemie”, mentre nei comunicati ufficiali da una parte si lodano “la dedizione delle autorità e la trasparenza dimostrata”, mentre dall’altra si bacchettano gli Stati Uniti per aver bloccato i voli dalla Cina, “aumentando paura e stigma”. Del tutto tardiva anche la decisione di passare di grado il virus da epidemia a pandemia, proclamata solo l’11 marzo, quando ormai si era ampliamente diffusa in tutto il mondo.
Per non parlare della posizione sull’uso dei test diagnostici, raccomandati solo per i casi pienamente sintomatici, salvo correggere il tiro dichiarando la necessità di farli a tappeto. Un errore che ha tratto in errore diversi comitati scientifici nazionali, Italia compresa.
Tutti concordano su un problema messo in luce dalla pandemia: la necessità di ripensare e rifondare da capo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che oggi si basa su delicati equilibri politici internazionali. Esattamente quello che non dovrebbe essere.