Di Marco Belletti
Carlos Eduardo Robledo Puch, nato a Buenos Aires nel 1952, detiene un record: nel 2019 è diventato la persona che ha trascorso più tempo in un carcere argentino, oltre 47 anni dal 4 febbraio 1972 quando fu arrestato come sospetto omicida.Processato nel 1980, fu condannato all’ergastolo (la pena più severa secondo l’ordinamento argentino) per 11 omicidi, un tentato omicidio, 17 rapine, uno stupro, un tentato stupro, un abuso sessuale, due sottrazioni di minorenne e due furti.
Chi l’ha conosciuto racconta che era un bambino timido, figlio di una coppia per bene che viveva nel quartiere Olivos, alla periferia settentrionale della capitale argentina. Lì Carlos crebbe, assiduo frequentatore della parrocchia, fino a diventare un ventenne dal volto delicato e angelico, incorniciato da capelli ricci tra il biondo e il rosso. Divenne particolarmente amico di Jorge Antonio Ibañez, di due anni più giovane, con il quale iniziò la sua carriera di piccolo delinquente prima e di omicida seriale poi.
Era il 15 marzo 1971, l’Argentina era governata da un governo militare presieduto dal generale Roberto Levingston Laborda, che sarebbe stato deposto una settimana dopo da Alejandro Agustín Lanusse Gelly, un altro dei tanti presidenti di facciata che guidarono il governo dopo la caduta di Peron. Prove di democrazia per la nazione sudamericana, che si accorse di avere tra i suoi cittadini uno spietato killer lontano dallo stereotipo che voleva gli assassini ignoranti, volgari, poco attraenti e dall’infanzia povera e travagliata.
Di faccende politiche Robledo Puch non si preoccupava, probabilmente non ne era neppure a conoscenza quando la notte del 15 marzo entrò in una discoteca dove rubò 350 mila pesos con l’amico. Il proprietario e la guardia notturna del locale dormivano quando i due giovani si introdussero nella sala, ma ciò non impedì a Carlos di ucciderli entrambi con un colpo di pistola prima di allontanarsi.
Meno di due mesi dopo, alle 4 del mattino del 9 maggio, Robledo Puch e Ibañez penetrarono in un’officina ricambi della Mercedes Benz a Vicente López, quartiere confinante con Olivos dove abitavano i due giovani. In una stanza del retro dormivano un impiegato dell’officina con la moglie e il figlio neonato. Robledo Puch sparò sia all’uomo – uccidendolo – sia alla donna che tuttavia non morì. Ibañez tentò allora di violentarla, ma rinunciò forse per il troppo sangue. Decisero di lasciarla lì a morire dissanguata e prima di scappare con 400 mila pesos, Carlos sparò alla culla dove piangeva il figlio della coppia, senza tuttavia colpirlo. La donna sopravvisse e fu una dei testimoni al processo.
Il 21 maggio i due complici penetrarono in un supermercato per rubare l’incasso e uccisero il guardiano notturno. Il bottino fu talmente cospicuo (5 milioni di pesos) che brindarono sul cadavere dell’uomo con whisky rubato dagli scaffali.
Il 13 giugno Robledo Puch e Ibañez rubarono un’auto e quindi rapirono una ragazza di 16 anni che il primo uccise con 5 colpi d’arma da fuoco dopo che il secondo l’ebbe violentata sul sedile posteriore.
Il 24 giugno rubarono un’altra vettura su cui ripeterono quanto fatto dieci giorni prima: Ibañez violentò la 23enne nel frattempo rapita e Carlos la uccise sparandole sette volte.
Il 5 agosto la coppia di criminali si sciolse in quanto mentre Robledo Puch guidava la solita auto rubata, i due ebbero un incidente in seguito al quale Ibañez morì: Carlos invece si dileguò incolume.
Il giovane sopravvissuto non perse tempo e ben presto proseguì l’attività criminale con un nuovo complice, Héctor Somoza, con il quale il 15 novembre irruppe in un supermercato di Boulogne (altro quartiere periferico di Buenos Aires) per rapinarlo, crivellando di proiettili il locale con una pistola rubata alcuni giorni prima in un’armeria.
Due giorni dopo la nuova coppia penetrò in una concessionaria e il 24 novembre in un’altra. Risultato: due guardiani notturni uccisi a colpi di pistola e oltre 1 milione di pesos come bottino.
I due criminali tornarono a uccidere il 3 febbraio 1972, quando si introdussero nottetempo in un negozio di ferramenta. Robledo Puch uccise immediatamente il guardiano notturno e con il complice cercò di aprire la cassaforte con le chiavi che avevano trovato in tasca all’uomo ucciso. Non riuscendoci, i due litigarono e Carlos sparò a Somoza, uccidendolo. Non potendo portare via il corpo, Robledo Puch decise di sfigurare il volto dell’amico – per impedirne l’identificazione da parte della polizia – con una fiamma ossidrica che utilizzò anche per scassinare la cassaforte da cui rubò il contenuto.
Fu arrestato la mattina successiva, dopo essere stato “collocato” sulla scena del crimine grazie alla sua carta d’identità, trovata dagli inquirenti nella tasca dei pantaloni di Somoza: aveva compiuto 20 anni da poco più di una settimana.
Nel 1980 fu condannato all’ergastolo che ancora oggi sta scontando nel carcere di massima sicurezza di Sierra Chica a Olavarria, a circa 350 chilometri da Buenos Aires. Quando gli fu chiesto, dopo la sentenza, se avesse qualcosa da dichiarare, affermò di essere stato giudicato e condannato prima ancora del verdetto.
Nonostante negli ultimi anni Robledo Puch abbia più volte richiesto la libertà condizionale, la Corte Suprema argentina l’ha sempre negata e solo il 10 maggio 2016 l’uomo è uscito per un breve periodo dal carcere di Sierra Chica per effettuare alcune visite mediche a causa di un peggioramento della salute.
Robledo Puch non è stato l’assassino seriale argentino che ha ucciso più persone né il più giovane: Francisco Antonio Laureana è stato accusato di almeno 13 omicidi e Cayetano Santos Godino uccise la sua prima vittima a soli 10 anni [leggi quil’articolo di ItaliaStarMagazine su Godino]. Tuttavia, nell’opinione pubblica del Paese sudamericano questo biondo e spietato killer dalla faccia angelica è sicuramente quello che più ha segnato la memoria collettiva per la disumanità e brutalità delle sue gesta oltre che per le assurde motivazioni che lo hanno portato a uccidere 11 persone in 11 mesi.