Il mondo conosce gli orrori di un angolo del Belgio dal 9 agosto del 1996: quel giorno, la piccola Laetitia Delhez, 14 anni, sparisce all’uscita di una piscina dove si trovava con degli amici. Un testimone affacciato per caso al balcone del palazzo di fronte racconta alla polizia che la piccola era stata caricata a forza in un furgone bianco di cui aveva segnato il numero di targa. Per gli agenti, individuare Marc Dutroux, il proprietario del veicolo, è un scherzo. Ma non lo è affatto qualche giorno dopo, quando dopo l’arresto per sequestro di persona di Dutroux, sua moglie Michèle Martin e Michel Lelièvre, un complice, la polizia fa irruzione nella casa della coppia a Jumet, nei pressi di Charleroi: nella cantina la polizia trova in catene la piccola Leatitia e Sabine Dardenne, 12 anni, anche lei scomparsa dal maggio precedente. Entrambe sotto shock, con segni di violenza su tutto il corpo e numerose ferite, ma ancora vive: sono le uniche sopravvissute di un incubo che passerà dalle cronache nere come il “mostro di Marcinelle”.
Il 17 agosto successivo, nel giardino di un’altra abitazione di Dutroux, la polizia rinviene i cadaveri di Julie Lejeune e Melissa Russo, 8 anni a testa, scomparse un anno prima: l’autopsia accerterà che sono morte di stenti. Qualche giorno dopo salta fuori anche il corpo di Bernard Weistein, conosciuto dalla polizia come pedofilo e complice di Dutroux: si era rifiutato di pagare per avere rapporti con le piccole prigioniere perché troppo magre.
Valutato dalle perizie psichiatriche come un psicopatico privo di rimorsi e pentimenti, Dutroux confessa ancora che nella cantina di un’altra abitazione si trovano i resti di An Marchal e Eefje Lambrecks, due ragazze di 17 e 19 anni, violentate e uccise.
Il 1° marzo 2004 inizia il processo a Dutroux e i suoi due complici, la moglie Michèle Martin e Michel Lelièvre: 17 giorni dopo, la giuria li ritiene colpevoli di sequestro, violenza, stupro e omicidio plurimo. La corte di Assise di Arlon condanna Dutroux all’ergastolo, la moglie a 30 anni e 25 a Lelièvre. Ma la condanna non basta a placare l’indignazione dell’opinione pubblica, che accusa la classe politica e la polizia di inettitudine e manifesta incapacità: il 20 ottobre 1996, la “marcia bianca” porta sulle strade di Bruxelles 350mila persone che vogliono ricordare le giovani vittime del mostro di Marcinelle e pretendono più sicurezza. Sui giornali le polemiche infuriano: si sospetta che Dutroux fosse la punta dell’iceberg di una pericolosa rete di pedofili di cui la polizia non si sarebbe neanche resa conto.
Malgrado la condanna che gli chiude le sbarre dietro le spalle, Dutroux continua a far parlare di sé: nell’aprile del 1998 riesce a fuggire dal palazzo di giustizia di Neufchateau dopo aver rubato un’arma ad un agente: viene arrestato poche ore dopo, ma la vicenda costa la testa al ministro dell’interno e a quello della giustizia.
La vicenda torna con prepotenza sulle prime pagine il 28 agosto del 2012, quando la Corte di Cassazione respinge i ricorsi dei parenti delle vittime e concede la libertà condizionata a Michèle Martin dopo 16 anni di reclusione sui 30 della condanna. E non è finita, perché proprio in queste ore, il Belgio è di nuovo inorridito di fronte ad una notizia che riempie le prime pagine dei quotidiani: un team composto da cinque psicologi è stato incaricato di valutare la salute mentale di Marc Dutroux in vista di una possibile scarcerazione, prevista per il 2021.
A rafforzare la possibilità, sfruttata in pieno dai legali del mostro di Marcinelle, la legge belga che non contempla il carcere a vita e concede la libertà ai detenuti che abbiano scontato i due terzi della pena. Un migliaio di persone è scesa in piazza, a Bruxelles, per protestare contro la possibile scarcerazione del mostro di Marcinelle.