Sarebbe sbagliato, continuare a considerare il caso Epstein come un semplice – e per quanto orribile – vicenda di sfruttamento sessuale e pedofilia. Dietro l’offerta di adolescenti spinte nel letto di amici potenti, ci sarebbe ben altro, una vera spy story dai risvolti internazionali. Ne sono convinti Dylan Howard, Melissa Cronin e James Robertson, tre giornalisti investigativi americani piuttosto noti che hanno unito le forze per scrivere “Dead Men Tell No Tales”, tradotto al meglio possibile “I morti non raccontano storie”, il primo libro, in uscita in questi giorni negli Stati Uniti, dedicato al caso che da mesi appassiona gli Stati Uniti e non solo.
La teoria è che dietro la vita dissoluta di Jeffrey Epstein, ufficialmente imprenditore, finanziere e filantropo dalle fortune immense, si sarebbe nascosto per lungo tempo un fitto lavoro svolto per i servizi segreti di paesi come Russia, Arabia Saudita e Israele. Quanto basta insomma, per pensare che Epstein non si sia tolto la vita lo scorso 10 agosto a 66 anni nel carcere di Manhattan, ma sia stato messo a tacere per sempre da killer professionisti.
Una ricostruzione che non si basa su semplici sospetti e qualche indizio, a cui i tre giornalisti sono arrivati dopo aver passato al setaccio decine di persone che conoscevano Epstein e qualche gola profonda dei servizi segreti disposta a parlare.
Uno di questi, il più clamoroso, si chiama Ari Ben-Menashe, un uomo israeliano con origini iraniane che alla fine degli anni Settanta era finito in galera negli Stati Uniti con il sospetto di essere una spia del Mossad, i servizi segreti israeliani. È stato lui a spiegare l’inizio della vicenda, raccontando che da giovane Jeffrey Epstein era diventato un assiduo frequentatore delle residenze di Robert Maxwell, spregiudicato imprenditore ed editore britannico trovato morto per cause mai chiarite nelle acque dell’Oceano Atlantico, dove secondo la ricostruzione ufficiale sarebbe finito cadendo dal suo panfilo. La versione non ufficiale, al contrario, racconta che Maxwell fosse in realtà un doppiogiochista che lavorava contemporaneamente per l’MI6 inglese, il KGB e il Mossad. Un gioco pericolosissimo che anche in quel caso si sarebbe concluso con una squadra di professionisti che ha provveduto a chiudergli la bocca per sempre.
Ai tempi della frequentazione dell’impero di Mawell, Epstein non nascondeva la sua passione per Ghislaine, la nona e più piccola figlia di Robert il cui nome è finito nell’inchiesta sul caso di pedofilia in qualità di storica amica, consigliere e fedele talent-scout di giovani vittime sacrificali per il miliardario. È proprio nella residenza di Ghislane Maxwell che si concentrano buona parte delle accuse contro il principe Andrea, perché lì si sarebbe consumata la prima volta fra il Duca di York e Virginia Roberts Giuffre, l’ex schiava di Epstein donata per tre volte al nobile.
Robert Maxwell e sua figlia Ghislaine avrebbero introdotto Epstein nel giro dei servizi segreti, creando poco per volta un giro di ragazzine che bastavano e avanzavano per ricattare amici potenti con troppo da perdere.
“Jeffrey Epstein era un idiota che riforniva ragazzine a tutti i politici negli Stati Uniti. Scopare non è un crimine, a certi livelli può diventare una pratica imbarazzante, ma non è un crimine. Ma scopare una ragazza di quattordici anni lo è, cambia molto: lui scattava foto a politici mentre si accoppiavano con ragazzine di quattordici anni. Ricattavano la gente in quel modo”, racconta Ari Ben-Menashe. Più o meno lo stesso tenore delle dichiarazioni di John Mark Dougan, ex vice sceriffo della contea di Palm Beach, in Florida, dove Epstein aveva una delle sue residenze e dov’era stato condannato una prima volta per pedofilia, salvo uscire di galera poco dopo grazie alle sue conoscenze d’alto livello. Dougan è da tempo nel mirino dell’MI6, ma lui è stato più lesto degli altri emigrando in Russia, dove ha chiesto asilo a Putin, e dove uno dei tre giornalisti l’ha rintracciato. Una visita fruttuosa: Dougan ha rivelato che ogni camera da letto delle residenze di Epstein era disseminata di telecamere e microfoni: “Teneva dei registri in cui annotava tutto, date e orari degli incontri, e al dipartimento di polizia sapevano dell’esistenza di centinaia di Dvd, ma quando sono andati a cercarli erano spariti”.
Ma le rivelazioni che il libro promette non si limitano a questo. I tre avrebbero trovato le prove che l’amicizia fra Epstein e l’ex presidente americano Bill Clinton fosse ben più ampia e compromettente di quanto rivelato finora, così come l’oscuro legale fra il miliardario e il mondo scientifico, rappresentato da Bill Gates, il celebre psichiatra Steven Pinker e addirittura diversi premi Nobel. Ci sarebbero anche le prove della rete che univa Jeffrey Epstein, Robert Maxwell, Adnan Khashoggi e l’Arabia Saudita, per arrivare agli interessi che lo legavano all’ex avvocato di Trump Michael Cohen. Ma una spy story che si rispetti non può non avere vittime, e anche queste non mancano: le morti sospette che ruotano intorno al caso sarebbero tante. Perfino troppe, se guardate con gli occhi giusti.