A New York faceva parecchio caldo, la sera del 29 luglio 1976. Verso l’una di notte, i detective in servizio nel dipartimento di polizia del Bronx spengono i ventilatori sulle loro scrivanie e corrono a sirene spiegate verso una strada in cui qualcuno ha segnalato dei colpi d’arma da fuoco. Quando arrivano trovano due ragazze, Donna Laurie, 18 anni, e Jodi Valenti, di 19, crivellate di colpi: la prima è morta sul colpo, la seconda – ferita ad una gamba – ha trovato la forza di uscire dall’auto e urlare richiamando l’attenzione di suo padre, davanti alla cui casa le due avevano parcheggiato e stavano chiacchierando alla fine di una serata trascorsa insieme. La ragazza si salva, e sotto shock racconta di un uomo che si avvicinato al finestrino e ha estratto una pistola da una busta di carta: ha esploso cinque colpi ed è fuggito senza dire una parola.
Per la polizia, che passa al setaccio la vita delle due ragazze senza trovare nulla, due sono le ipotesi: uno scambio di persona o il colpo di testa di uno psicopatico. L’allerta resta alta, ma più di quello al momento non si può fare. Tre mesi dopo, il 23 ottobre, la scena si ripete, del tutto uguale: un’auto parcheggiata e un uomo che si avvicina aprendo il fuoco. Carl Denaro, 19 anni, viene colpito alla testa ma se la caverà, la sua fidanzata Rosemary Keenan rimane illesa. Passa appena un mese, e il 26 novembre di quel 1976, Donna DeMasi, 16 anni, e Joanne Lumino, di 18, sono raggiunte da colpi di pistola: la prima viene ricoverata per le ferite, la seconda rimarrà paralizzata per il resto dei suoi giorni.
Per la polizia è quasi una certezza che mette i brividi: per le strade del Queens si aggira un serial killer armato di un revolver “44 Charter Arms Bulldog”. I controlli a setaccio e i posti di blocco non portano a nulla, come pure gli identikit dell’uomo, realizzato al meglio ascoltando i racconti confusi delle vittime. I giornali cavalcano la paura e parlano del misterioso “44 Calibre Killer”, mentre i centralini della polizia sono sommersi di segnalazioni di cittadini in preda alla psicosi da serial killer. La Grande Mela è ai suoi piedi.
Il 30 gennaio dell’anno successivo, l’uomo della 44 torna in azione: questa volta prende di mira una coppia, nuovamente ferma con l’auto in un parcheggio, Christine Freund e John Diel. Lei muore sul colpo, lui se la caverà. Qualche indizio salta agli occhi della polizia: in tutti gli agguati fra le vittime ci sono sempre giovani donne con i capelli lunghi e scuri.
L’8 marzo del 1977, Virginia Voskerichian, una tranquilla studentessa di 21 anni, viene uccisa con un colpo di pistola alla testa mentre torna a casa a piedi da una lezione. In un’affollatissima conferenza stampa, la polizia alza il tono, annunciando un’operazione congiunta per mettere fine agli agguati con 300 uomini dispiegati sulle strade: la più imponente operazione mai organizzata dalla polizia di New York. Le indagini iniziano dalla ricerca di una Volkswagen che più di un testimone afferma di aver visto nelle vicinanze dei vari agguati: i posti di blocco ne fermano centinaia, ma nessuno dei conducenti ha a che fare con gli agguati.
Ma quella è una sfida che il killer accetta: il 16 aprile Alexander Esau e Valentina Suriani, di 20 e 18 anni, sono uccisi a poca distanza dal luogo del primo tentato omicidio. Accanto alle vittime una busta indirizzata a Joe Borrelli, l’ufficiale di polizia incaricato di coordinare le indagini: all’interno un testo farneticante scritto in modo sgrammaticato, e la firma del killer, “The Son of Sam”, il figlio di Sam.
È il 26 giugno, quando il killer torna in azione: Sal Lupo e Judy Placido, appena usciti da un locale di Bayside, un sobborgo del Queens, sono raggiunti da diversi colpi d’arma da fuoco sparati all’indirizzo della loro auto. Se la cavano entrambi con qualche ferita, ma hanno visto da vicino il killer: un uomo di altezza media, grassoccio, e con i capelli corti e scuri. Poche settimane dopo, il 30 maggio, Jimmy Breslin, redattore del “New York Daily News”, riceve una lettera del serial killer che viene pubblicata qualche giorno dopo: all’interno, una velata minaccia di tornare a colpire il 29 luglio, anniversario del primo agguato. L’articolo si chiude con l’invito a consegnarsi alla polizia per mettere la parola fine al terrore che da troppi mesi attanaglia la città. Due giorni dopo, per tutta risposta, Stacy Moskowitz e Robert Violante, entrambi ventenni, sono raggiunti alla testa dai colpi della calibro 44. Si salva solo il ragazzo.
Ma questa volta c’è una testimone oculare: si chiama Cecilia Davis, stava portando il suo cane a fare un giro e ha visto un uomo tentare di nascondersi goffamente dietro ad un albero e poi raggiungere una Ford Galaxy gialla parcheggiata a poca distanza. Avvisa la stazione di polizia di Yonkers, un sobborgo di New York, e un agente avverte la centrale che dopo aver raccolto la testimonianza e fatto degli accertamenti, c’è un sospetto: si chiama David Richard Berkowitz, classe 1953, ex tassista che vive di espedienti, più volte segnalato per comportamenti strani e violenti. Gli agenti rintracciano l’auto e all’interno trovano la famigerata calibro 44, più una mappa con i luoghi dei vari agguati cerchiati di rosso e un’altra lettera destinata a Timothy Down, un ufficiale di polizia.
Il 10 agosto del 1977, a più di un anno di distanza dal primo omicidio, David Berkowitz viene arrestato senza opporre resistenza nel suo appartamento, al numero 35 di Pine Street, a Yonkers: secondo alcuni testimoni avrebbe detto agli agenti, “Perché ci avete messo così tanto?”.
In mezzora di interrogatorio, Berkowitz confessa tutto d’un fiato, un agguato dopo l’altro, fornendo dettagli e particolari. Uno dei più risvolti inquietanti è che Sam, da cui avrebbe preso il nome, è in realtà il Labrador di un vicino, secondo lui indemoniato, che gli ordinava di uccidere. Il 12 giugno del 1978, Berkowitz viene condannato a sei ergastoli e 364 anni di prigione, ma non ha ancora finito di terrorizzare l’America: nell’ottobre dello stesso anno, invia un libro sulla stregoneria alla polizia del North Dakota, scrivendo a penna un nome sulla copertina: Arlis Perry. In pratica, si autoaccusa dell’assassinio irrisolto di una diciannovenne, uccisa nella cappella della Stanford University nell’ottobre del 1974: il suo primo omicidio.
Nel tempo, Berkowitz racconterà di essere stato un bambino solitario e violento che ha perso ogni freno e speranza alla morte di cancro della madre Pearl. Ma visto che la nuova moglie del padre non accettava la sua presenza, i due si erano trasferiti in Florida, lasciandolo da solo nel Bronx: da quel momento era stato costretto a cavarsela da solo facendo lavoretti di poco conto. Svela ancora ancora di essere sempre stato affascinato dalla stregoneria e dal satanismo: prima di iniziare ad uccidere aveva preso confidenza con la morte sacrificando parecchi animali trovati per strada. Quando dopo lunghe insistenze gli viene concesso l’incontro con un esorcista, Berkowitz cambia del tutto: scrive lettere di scuse, chiede perdono e si dice profondamente pentito per il dolore inflitto a così tante persone.
Ancora oggi, David Berkowitz è rinchiuso in una cella del “Sullivan Correctional Facility” di Fallsburg, nei dintorni di New York: ha 66 anni, e ogni due anni presenta istanza per la concessione della libertà condizionata. Che gli viene sempre negata.