di Marco Belletti
Flora Brooks, se avesse potuto, probabilmente si sarebbe molto pentita di essersi innamorata di Thomas Neill Cream, conosciuto quando era studente di medicina alla “McGill University” di Montreal dove si sarebbe laureato in medicina nel 1876 con una tesi sul cloroformio. Flora fece lo sbaglio di innamorarsi del ragazzo nato il 27 maggio 1850 a Glasgow, in Scozia, ma emigrato bambino con la famiglia a Quebec, in Canada, il quale la mise incinta e quasi la uccise quando le praticò l’aborto: la famiglia di lei li costrinse a sposarsi minacciando di morte il dottorino se non l’avesse fatto.
Flora sopravvisse all’aborto e alla minaccia dei genitori ma non a una forma di tubercolosi (quanto mai sospetta, con il senno di poi) che la uccise meno di un anno dopo. E così il vedovo traversò nuovamente l’Atlantico per seguire un corso post laurea al “St. Thomas’s Hospital Medical School” di Londra.
Cream completò gli studi diventando chirurgo, per poi tornare in Canada nel 1879 ed esercitare in Ontario, dove conobbe Kate Gardener, un’altra donna che probabilmente se avesse potuto avrebbe evitato di frequentarlo. Kate fu trovata morta nell’agosto 1879 in un vicolo dietro l’ufficio di Cream: era incinta ed era stata avvelenata con cloroformio. Interrogato dagli inquirenti, Cream dichiarò che probabilmente era stata messa incinta da un noto imprenditore locale, che provvide a ricattare. Quindi, scappò negli Stati Uniti prima che potesse essere accusato di falsa testimonianza e omicidio.
Si stabilì a Chicago, praticando aborti illegali alle prostitute del quartiere dove viveva. Esattamente un anno dopo l’omicidio della Gardener, Cream fu nuovamente indagato in seguito alla morte di Mary Anne Faulkner, una donna da lui operata, ma evitò una condanna per mancanza di prove. Nel dicembre 1880 morì una certa miss Stack, un’altra paziente di Cream, ma il dottore riuscì a deviare i sospetti su un farmacista. E nell’aprile 1881 fu Alice Montgomery a morire per avvelenamento da stricnina dopo aver subito un aborto in una pensione a un isolato di distanza dall’ufficio di Cream. Si trattava di un evidente omicidio, ma il caso non fu mai risolto e – anche se luogo, momento e modalità conducessero a Cream – ancora una volta il dottore evitò una condanna.
Il 14 luglio 1881, Daniel Stott morì per avvelenamento da stricnina dopo che Cream gli aveva fornito un presunto rimedio contro l’epilessia. Dapprima la morte fu attribuita a cause naturali e Cream l’avrebbe nuovamente fatta franca, ma fu proprio lui a scrivere al coroner accusando il farmacista di famiglia per la morte dell’uomo. E così scavando più a fondo gli inquirenti arrestarono Cream e la moglie del morto – nel frattempo diventata sua amante – che, per evitare la pena di morte, confessò di aver fornito il veleno al dottore. Cream fu condannato all’ergastolo ma esattamente dieci anni dopo, in seguito alla richiesta di clemenza avanzata da suo fratello, ottenne una riduzione della pena e fu scarcerato.
Il dottore decise di cambiare aria e così tornò in Inghilterra, stabilendosi nell’ottobre 1891 a Londra, in un alloggio al 103 di Lambeth Palace Road, una zona in cui dominavano povertà, piccoli crimini e prostituzione. Si diede subito da fare. Il 13 ottobre la prostituta diciannovenne Ellen Donworth accettò un drink da Cream, agonizzò per alcuni giorni e fu dichiarata morta per avvelenamento da stricnina. Durante le indagini Cream scrisse al coroner affermando di conoscere l’assassino e che, per 300 mila sterline, ne avrebbe confidato il nome agli inquirenti: la sua richiesta non fu presa in considerazione. Meno di una settimana dopo un’altra prostituta, la 27enne Matilda Clover, morì in modo piuttosto strano ma il coroner ritenne fosse alcolismo.
I primi giorni di aprile dell’anno dopo Cream tentò di avvelenare Louise Harris che tuttavia riuscì a salvarsi, sospettando dell’uomo ed evitando di bere quanto le offriva. L’11 aprile il dottore si recò nell’appartamento di due prostitute – Alice Marsh di 21 anni e Emma Shrivell diciottenne – e offrì loro delle birre, allontanandosi prima che la stricnina aggiunta alle bevande facesse effetto: le due donne morirono dopo una lunga agonia.
In tutti questi casi Cream contattò gli inquirenti offrendo indizi o colpevoli in cambio di denaro, e cercò di ricattare anche persone che avrebbero potuto essere indagate come colpevoli. A rovinarlo furono i tentativi di accusare due medici per gli omicidi di tutte le donne da lui uccise a Londra, compresa Matilda Clover fino ad allora creduta morta per alcolismo. Gli inquirenti giunsero abbastanza rapidamente alla verità che i due medici erano innocenti e che il serial killer era Cream.
A sua difesa il dottore accampò un errore di persona, affermando di essere Thomas Neill e non Thomas Neill Cream, ma fu inutile e il 21 ottobre 1892 fu condannato a morte per impiccagione. La pena fu eseguita il 15 novembre nella prigione di Newgate (al cui interno sarebbe poi stato sepolto in una tomba senza nome) dal boia James Billington, il quale tempo dopo affermerà che Cream era Jack lo squartatore, in quanto le sue ultime parole prima di morire sarebbero state “io sono Jack lo...”. In realtà nessun altro oltre al boia sentì questa affermazione e oltretutto, nel periodo di attività dello squartatore, Cream era in carcere negli Stati Uniti.
In uno degli articoli dedicati all’uomo, che i giornali dell’epoca definirono l’assassino di Lambeth, compare una spiegazione pseudoscientifica a questo fatto: Cream – sul patibolo e pronto a essere impiccato – avrebbe perso il controllo delle sue funzioni corporali e avrebbe affermato “I am ejaculating…” e il boia avrebbe confuso con “I am Jack the…”.
Non è mai stato chiarito perché Cream uccidesse le sue vittime: l’opinione più diffusa fu che l’uomo fosse un sadico che provasse piacere al pensiero delle sue vittime agonizzanti, anche se non assisteva mai alle morti.