La Corte di Cassazione ha confermato alle 21.30, dopo sei ore di camera di consiglio, la condanna in primo e secondo grado, 20 anni di carcere, inflitta ad Antonio Logli, attualmente ancora libero ma fra poche ore costretto a presentarsi in prigione dove trascorrerà la sua pena. La moglie. Roberta Ragusa, 44 anni, svanì nel nulla nel gennaio 2012 dalla sua villetta di Gello, in via Dini, nella provincia di Pisa. Antonio Logli, condannato per omicidio volontario e distruzione di cadavere ha atteso, secondo i suoi legali “sereno e con fiducia” la sentenza, ma adesso il suo stato d'animo è profondamente diverso. Ha detto qualcosa ai suoi avvocati, dopo la lettura delle sentenza, solo al telefono: "Sono innocente e ora dev pensare ai miei figli, non me lo aspettavo". Gli avvocari difensori sono affranti: "Aspettiamo le motivazioni, per noi Logli è innocente, non ha fatto nulla e nessuno sa che fina possa avere fatto la signora Roberta Ragusa".
Al suo fianco, idelamente, anche il figlio Daniele e la sorella che per lui hanno scritto una memoria in cui lo difende con passione. Daniele è stato criticato dai familiari della madre a cui "avrebbe inflitto una sofferenza indicibile, lei che per loro ha dato tutto, anche la vita, nel saperlo indifferente alla sua sorte". Attraverso i legali, il giovane aveva però precisato che, pur difendendo il padre, non aveva affatto dimenticato l'affetto per la mamma sparita da così tanto tempo. La stessa posizione della sorella. Nell’udienza del 28 marzo, la richiesta da parte del pubblico ministero Filippo Di Benedetto della conferma della pena già inflitta il 21 dicembre 2016: 20 anni e il carcere. Al centro la deposizione dei testi che videro la coppia litigare la notte della scomparsa in strada. Secondo la difesa, sono “inattendibili”. Resta sospeso il caso del padre Valdemaro. Ha affermato di essere convinto dell’innocenza del figlio quanto dell’allontanamento volontario della nuora. «Credo si sia fatta aiutare da un’agenzia specializzata che permette alla gente di andarsene senza lasciare traccia – ha detto l’ottantenne –. Roberta è una brava donna, ma sembrava stanca della routine familiare». Logli ha smentito con forza il padre, definendo l’intervista “inopportuna” e “fuorviante”.
I giudici di Cassazione credono a Loris Gozi che la notte, fra il 12 e il 13 gennaio 2012, ha visto Logli due volte prima da solo e poi con Roberta, a bordo della loro auto. Che riconosce "senza esitazioni". I due litigano, sono in via Gigli, non distanti dalla loro casa. Gozi stava accompagnando a casa la moglie Anita Gombi, uscita dal lavoro. Mezzora dopo, all'una, esce di nuovo e rivede i due. Si confonde con i modelli delle auto di famiglia di Logli e della moglie, una Escort e una Citroen. Poi precisa meglio, in due tempi, le circostanze del riconoscimento. I giudici non sembrano avere dubbi, anche se la testimonianza-chiave arriva solo mesi dopo, a ottobre. "Sono un Sinti e per noi collaborare con la polizia vuile dire essere isolati per sempre, poi ho dovuto dirlo". Ora Logli, dopo i tre gradi di giudizio, è diventato un assassino. E' stato Logli ad avere ucciso la moglie per poi distruggerne e occultarne il corpo. E non può, secondo i giudici, essere fuggita da un matrimonio finito dopo l’ultimo litigio avuto col marito, legato da anni alla collaboratrice della scuola guida, Sara Calzolaio con cui vive tuttora sotto lo stesso tetto, compresi i figli di Roberta, apertamente schierati con il padre.