La criminologa Anna Vagli, entra a gamba tesa (in un servizio della Gazzetta di Lucca) contro i seguaci di Massimo Bossetti, che negano, e vedremo con quali argomenti, sia l’assassino di Yara Gambirasio. I fan dell’assassino, come fossero al bar sotto casa, larvatamente accusano anche i genitori della vittima di non aver “preteso” un altro colpevole poiché il muratore di Mapello non sarebbe, anzi non è, colpevole. Vagli riporta anche dettagli inquietanti: “Dopo tutto il fumo per scacciare l’ombra delle ricerche pedo pornografiche – ragazzine tredicenni, rosse e vergini –, in carcere il muratore scrive ben 40 lettere a una detenuta avvistata nel cortile, confidandole proprie fantasie sullo stato della zona genitale. Le lettere, inutile dirlo, sono diventate di pubblico dominio. Ma se pensate che sia tutto, vi sbagliate”. Marita Comi, appreso dello show letterario del marito, aveva interrotto ogni rapporto con lui. Poi s’è ricreduta e continua a sostenerne l’innocenza. “La nostra quota è sempre sui 25, 25.000 euro a Matrix. Mi conoscono in tutta Italia eh. Il mio è il caso più pagato fuori dalla Elena Ceste”. Vagli: “Queste sono le frasi che Massimo Bossetti ha pronunciato alla moglie Marita nel corso di un colloquio in carcere datato novembre 2014. Bossetti non è certo apparso come un uomo disperato ed impossibilitato nel far valere la propria innocenza, ma piuttosto come un avido e disumano speculatore”.
Poi la criminologa entra nel cuore del caso: “Massimo Giuseppe Bossetti ha ucciso Yara Gambirasio al di là di ogni ragionevole dubbio. Tre gradi di giudizio e una condanna definitiva in un Paese civile dovrebbero bastare. Dovrebbero. Mi sono trovata casualmente in un covo dei c.d. Bossettiani che da anni ne sostengono l’innocenza. Ho sentito dire che il DNA c’era stato messo di proposito sugli slip di Yara e, ancor peggio, che vi era finito perché Bossetti aveva urinato nelle vicinanze e dunque una folata di vento ce lo aveva trasportato. Per tutti questi motivi la sua condanna era solamente una condanna indiziaria. E per una donna di legge certe argomentazioni sono aberranti”.
Ancora: “Ma poiché la vita reale non è un circo, vi spiego perché sulla colpevolezza di Massimo Giuseppe Bossetti non esiste ragionevole dubbio. Atto I, il DNA. Di fronte al faro dell’indagine, alla prova diretta e all’inconfutabile firma del Bossetti sugli slip di Yara, la difesa, affiancata da una sfilza di ultras innocentisti (quasi come se si stesse assistendo ad una partita di calcio e non ad un processo) ha urlato allo scandalo, sostenendo la creazione in laboratorio di un DNA artificioso. Insomma, di un codice genetico sintetico malauguratamente appartenente al Sig. Bossetti. Non ad un pescatore siciliano o a un pastore sardo ma ad un muratore della bassa bergamasca”. La madre, scomparsa nel frattempo, Ester Arzuffi, che ha concepito il figlio per una relazione clandestina con un autista, secondo Vagli “cavalcava l’onda di questi movimenti di ‘rivisitazione della giustizia’ madre di Bossetti nonché (suo malgrado) famosa adultera del bergamasco. La prova scientifica aveva dimostrato che nessuno dei suoi tre figli era stato concepito con il marito, ma questo, evidentemente, non era sufficiente. Farfugliando e vaneggiando che era stato il ginecologo a metterla incinta con l’inseminazione artificiale, si è beccata sfilze di querele. Ma non ha mai mollato. Ha rilasciato dichiarazioni sui principali quotidiani italiani. Senza vergogna e senza paura. Adesso che non c’è più, possiamo solo augurarle di riposare in pace senza il peso degli ‘e(o)rrori terreni'”.