“Troppo dolore e troppa ingiustizia. La verità non è italiana, hanno dato credibilità ai falsi testi, hanno lasciato due ragazzi da soli…io sono distrutta”. Sara Calzolaio, l’ex amante storica di Antonio Logli, in carcere a Livorno, dove ha iniziato a scontare la condanna a 20 anni per l’omicidio della moglie Roberta Ragusa, urla alla lettura della sentenza e si dispera. Dopo un anno dalla scomparsa di Roberta - oggi possiamo dirlo, uccisa e il corpo fatto sparire - era già nella villetta di Gello, a Pisa, compreso il letto matrimoniale, nella veste di “nuova moglie” del gelido impiegato che non voleva separarsi per non perdere casa e la scuola guida, l'attività di famiglia. Resta sullo sfondo la tragedia dei figli che si sono schierati con il padre e oggi pagano le conseguenze di una posizione duramente contrastata dai familiari della vittima. Chi li ha indotti a dimenticarsi della madre per appoggiare le tesi di padre e amante, oggi dovrebbe vergognarsi. Con un’abile operazione di marketing, un’emittente nazionale ha provato - organizzando uno squallido teatrino che è durato per ore - a far passare Logli per un martire, linciando gli investigatori che dal 2012 hanno cercato di dare una risposta alla scomparsa di un’amorevole madre di famiglia, colpevole solo di intralciare il sogno d’amore (e di soldi) di Logli e dell'ex baby sitter, Sara Calzolaio.
Un teatrino squallido, ripetiamo, volgare, ma soprattutto triste. Con Logli che, accompagnato passo dopo passo da uno stuolo di cronisti amici e confidenti, si barrica nelle ultime ore in un bed and breakfast della zona per aspettare la sentenza, da cui era sicuro di uscire indenne. “Non ho fatto nulla e anche se ho un’altra donna, non smetto mai di pensare a Roberta, la madre dei miei figli, alla fine che fatto. Ma io non l’ho uccisa, sono una brava persona, un uomo mite, non avrei mai potuto farlo”, aveva detto compunto poche ore fa. Ma 14 giudici, nel corso degli anni, hanno valutato la sua posizione con una conclusione unanime: è un assassino. Con una variante: quella notte di gennaio potrebbe avere semplicemente litigato con la moglie e averla uccisa involontariamente. Se lo avesse ammesso subito, forse, oggi, dopo il primo periodo in carcere, avrebbe potuto presto tornare libero. Ma la linea dei suoi avvocati-amici è stata diversa: rito abbreviato e proclamazione di innocenza. E bizzarre teorie sull’”allontanamento volontario” della povera Roberta, magari ai Caraibi con un fidanzato nuovo o finita in convento, se non suicida. Restano le lacrime consolatorie delle cugine della vittima, che hanno visto finalmente e per sempre ristabilire la verità dei fatti, ben al di sopra degli strilli in tv per fare audience. Ciao Roberta, ora riposa in pace.