Cesare Battisti ritiene che non deve scontare l’ergastolo per i quattro amici per cui fu condannata e infine arrestato in Bolicvia, dopo 37 anni di latitanza dorata. Il terrorista, tramite i suoi avvocati, ha chiesto infatti che venga rispettato il patto stretto tra Italia e Brasile per la sua estradizione, premier Renzi-gentiloni, che prevedeva una pena “non superiore ai 30 anni”. Dall’amontare della pena andrebbero poi tolti gli anni trascorsi in carcere negli Anni 80. L’accordo era stato firmato a ottobre 2017 dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, un modo per aggirare le resistenze della corte suprema del Brasile, prevedeva "che il tempo massimo di esecuzione della pena inflitta non supererà nella sua effettività 30 anni di reclusione, e che il periodo di detenzione sofferto dall'estradato in Brasile ai fini della procedura di estradizione sarà computato nella pena da eseguire in Italia".
Gli avvocati di Battisti hanno calcolato i periti di carcerazione Italia, Francia e Brasile (tra 1979 e 2006), cioè 9 anni, 4 mesi e 6 giorni. Calcolatrice alla mani, dai 30 anni di carcere, ne resterebbero poco più di 20.
C’è un sottile problema giudico da valutare: se Battisti, grazie al Brasile che rinunciò all’estradizione a favore dell’Italia, fu espulso dalla Boliva, vale ancora l’accordo? Gli avvocati dell’ex terrorista dei Pac non hanno dubbi: “Non è in realtà rispettato in nessuna parte l'iter previsto per le espulsioni, che prevede un avviso con interprete, tre giorni per il ricorso, cinque per la risposta, e la "restituzione" al Paese di provenienza, quindi il Brasile e non l’Italia. Dunque, né estradizione, né despulsione e, dovendo individuare un atto che possa legittimare la consegna dell'ex terrorista all'Italia, bisogna rifarsi al patto siglato dal ministro Orlando, quello che prevede l'impegno per una riduzione della pena”. Su questo aspetto si pronuncerà la Corte d'assise d'appello di Milano che si riunirà il 17 maggio.