Imane Fadil aveva ragione: dalle prime analisi, la modella di origini marocchine sarebbe stata avvelenata da un “mix di sostanze radioattive”. Sono le prime battute di un caso inquietante, che riporta alla memoria casi come quello di Alexander Litvinenko, agente dei servizi segreti russi ucciso a Londra nel 2006 per avvelenamento da polonio, o ancora quello di Serghei Skripal e sua figlia Yulia, avvelenati con il “Novichok”, che in realtà finì per uccidere Dawn Sturgess, una donna di 44 anni che trovò casualmente un contenitore di profumo riempito di gas nervino abbandonato malamente da qualcuno.
Imane Fadil, 34 anni, nata a Fez ma cresciuta a Torino, era sicuramente una presenza ingombrante, la testimone chiave nei processi “Ruby” che indagano sulle “cene eleganti” alla villa di Arcore, quella che aveva svelato i “Bunga Bunga” berlusconiani e prometteva nuove rivelazioni attraverso un libro che aveva appena iniziato a scrivere. La modella si era presentata all’Humanitas di Milano il 29 gennaio accusando un malore ed è morta il 1° marzo scorso, dopo quasi un mese di agonia: accusava “un forte mal di pancia e un senso di spossatezza”. Era stata ricoverata in terapia intensiva e quindi trasferita in rianimazione, e continuava a ripetere al fratello e al suo avvocato, Paolo Sevesi, che temeva di essere stata avvelenata. I medici non sono riusciti a fermare il “progressivo cedimento degli organi” che l’ha portata alla morte. La prima stranezza di questa vicenda riguarda proprio l’Humanitas, che malgrado i sospetti sui sintomi di avvelenamento riscontrati “dall’équipe multidisciplinare” che seguiva il caso, e le parole della stessa Fadil, non ha ritenuto utile avvisare la magistratura e le forze dell’ordine. Eppure Imane Fadil sarebbe morta per un mix “rarissimo” di sostanze radioattive fra cui il cobalto, “del quale sono esperti in Russia”, probabilmente ingerite attraverso una bevanda o del cibo.
Otto, dai suoi racconti, le presunte partecipazioni alle cene eleganti di Arcore, attirata – come avrebbe più volte raccontato – dalla possibilità di avvicinare personaggi che contano e ottenere qualche vantaggio per la propria carriera. Ad accompagnarla era stata Lele Mora, ex talent scout coinvolto nell’inchiesta per favoreggiamento della prostituzione.
Il 9 agosto 2011 Imane decide di chiudere quel capitolo: un anno dopo, racconta ai magistrati di essere stata avvicinata da un siriano che le aveva consegnato un cellulare e una sim: l’aveva chiamata quattro o cinque volte invitandola “a prendere un taxi e andare là a parlare”. L’indicazione generica fu interpretata per Arcore, ma la modella preferì non andare mai. Era il periodo in cui Imane, insieme a Ambra Battilana e Chiara Danese, aveva intavolato una trattativa extragiudiziale con una senatrice di Forza Italia per ottenere un risarcimento di due milioni di euro. Operazione che non andò a buon fine. E non era andata meglio pochi giorni prima del ricovero, alla metà dello scorso gennaio, quando il tribunale aveva rigettato la sua costituzione come parte civile nel processo Ruby Ter.
Sprezzante il commento di Lele Mora alla notizia della morte di Imane Fadil: “Ricordo una ragazza triste, che doveva aver avuto un sacco di problemi. Cercava la strada per il successo, ma era davvero insignificante e non ebbe alcuna fortuna. Sono dispiaciuto e rammaricato per la sua morte ma non potrei dare nessuna spiegazione: fui io a portarla ad Arcore, mi era stata presentata da un DJ marocchino”. Perplesso Emilio Fede: “Francamente non ci credo: non penso fosse depositaria di segreti così tali da spingere qualcuno a ucciderla”.
La procura ha ordinato l’autopsia e acquisito le bozze del libro e dell’intera documentazione clinica.