“Non avevo alcun legame con Roman Polanski, né personale né professionale: lo conoscevo appena. Fu di estrema violenza, dopo una discesa di sci, nel chalet di Gstaad, in Svizzera. Mi colpì, mi riempì di botte fino a quando non opposi più resistenza, poi mi violentò facendomi subire di tutto. Avevo appena 18 anni”. Un dolore tenuto dentro per 44 anni che Valentine Monnier, attrice e fotografa francese, ha deciso di rivelare ogni cosa, togliendosi un peso dall’anima. Era la giovane e bellissima figlia di un’influente famiglia di industriali alsaziani, aveva iniziato da poco una carriera come modella ed era giunta a Gstaad per festeggiare la maturità insieme ad alcuni amici. Durante una risalita in seggiovia Polanski le chiede senza giri di parole se era disposta a fare sesso con lui: la ragazza risponde di no. La sera si incontrano in un ristorante, cenano e scendono a valle sugli sci, con le fiaccole. Appena arrivati nello chalet, scatta la furia del regista: “Mi ha picchiata, obbligata a ingoiare una pillola e violentata: ero sotto shock. Pesavo appena 50 kg, Polanski era piccolo ma molto forte: ebbe la meglio di me in due minuti. Mi ripetevo: è Polanski, non può correre il rischio che si sappia, finirà per uccidermi”. Invece finita la violenza, Polanski le chiede scusa, piangendo perfino, implorandola di non rivelare nulla.
Il motivo che ha spinto Valentine Monnier ha scrivere una lettera al quotidiano “Le Parisien” è “J’accuse”, il nuovo film del regista polacco che si concentra sull’affare Dreyfus, uno storico falso giudiziario che aveva come protagonista il capitano dell’esercito francese Alfred Deyfrus, nel 1894 ingiustamente condannato per alto tradimento e riabilitato soltanto anni dopo. Come il militare, anche Valentine Monnier ha capito l’importanza della giustizia, anche postuma: “Il ritardo nella reazione non significa che tutto è stato dimenticato: lo stupro è una bomba a orologeria. La memoria non si cancella, diventa un fantasma che ti insegue, ti cambia in modo insidioso. Il corpo finisce spesso per risentire di quello che la mente ha tenuto in disparte, fino a quando l’età o un avvenimento ti rimette di fronte al ricordo traumatico”.
Nel 1977, Roman Polanski è stato accusato a Los Angeles di “violenza carnale con l’ausilio di sostanze stupefacenti” su Samantha Geimer, una ragazzina di 13 anni. Dopo 42 giorni di detenzione, Polanski era riuscito a fuggire dagli Stati Uniti e da allora evita con cura i Paesi dove siano in vigore accordi di estradizione con l’America.