La notizia circola con insistenza sulle agenzie, svelata da diversi organi di stampa poche ore fa: Silvia Romano, la cooperante milanese di 24 anni svanita nel nulla lo scorso 20 novembre è viva e si trova in Somalia, dove è diventata “proprietà di un uomo”. Una notizia filtrata da fonti dei servizi segreti italiani, a cui manca ancora la conferma ufficiale e su cui la Farnesina si è trincerata dietro un secco “no comment”.
“Silvia si troverebbe in Somalia, nella vasta area fra il sud ed il sudovest, dove è stata forzata al matrimonio con rito islamico, a indossare il velo e seguire la legge coranica, oltre che sottoposta a operazioni di lavaggio del cervello, una manovra di accerchiamento psicologico che punta a recidere i legami affettivi e culturali con la sua patria d’origine”.
“L’unica strada aperta – prosegue “Il Giornale”, che avrebbe dato la notizia per primo – sarebbe quella dell’intelligence, della ricerca di contatti e di trattative con i rapitori in vista del pagamento di un riscatto che il nostro governo a quasi un anno dal sequestro è pronto a pagare, e che allo stato appare l’unica strada concreta per risolvere il caso e riportarla a casa. Ma se gli uomini che l’hanno in mano oggi la considerano ormai una di loro potrebbero perfino rifiutare una trattativa. A meno che, è questa la speranza, non sia solo un mezzo per alzare il prezzo”.
Sulla presunta islamizzazione di Silvia Romano non esiste però alcuna prova: una delle sole “certezze” della procura di Roma - che indaga per sequestro di persona con finalità di terrorismo - si ferma al trasferimento in Somalia dopo il rapimento. L’altra è riferita ai dettagli del sequestro, che dimostrano un rapimento su commissione: i mezzi e le armi del gruppo di otto persone che prelevò Silvia da un centro commerciale di Nairobi, sono sempre stati ritenuti sproporzionati rispetto alle normali possibilità delle bande che imperversano nel Paese africano. Lo scorso Natale Silvia era ancora viva, altro al momento non si sa.