“Quando la porta sul retro del tir è stata aperta, i primi soccorritori sono rimasti scioccati nel vedere decine di cadaveri accatastati uno sopra l’altro. I corpi più vicini all’uscita avevano la schiuma alla bocca. C’erano impronte di sangue sulla parte interna della porta del camion: segno che con la forza della disperazione avevano cercato di chiedere aiuto. Indossavano pochi indumenti, alcuni erano nudi”.
Una delle prime storie agghiaccianti della tragedia che si stava consumando nel chiuso di un tir e è quella di Pham Thi Tra My, 26 anni, vietnamita. Dalla Cina era riuscita ad arrivare in Francia, ma da lì per due volte le era stato impedito l’ingresso nel Regno Unito, dove sognava di costruirsi una vita migliore. Per 30mila sterline, all’incirca 34mila euro, aveva trovato un posto sul tir che sarebbe diventata la sua bara, insieme ad altri disperati come lei. Pham ha inviato una serie sms alla famiglia verso le 22:30 di mercoledì scorso, appena due ore prima che il camion frigorifero arrivasse a Purfleet, nell’Essex: “Mi dispiace, il mio viaggio all’estero non ha avuto successo. Sto morendo perché non riesco a respirare: mamma, voglio tanto bene a te e papà”. Da quel momento la sua famiglia non l’ha più sentita, e sospettando che la giovane potesse essere fra le 39 vittime, si è rivolta al “Human Rights” per lanciare un appello accompagnato da una foto della giovane.
L’ambasciata vietnamita a Londra ha confermato di aver ricevuto decine di richieste di aiuto da famiglie, ma la polizia non ha ancora fornito l’elenco completo delle nazionalità delle vittime. Le autorità ritengono che i migranti fossero di nazionalità cinese, ma almeno sei famiglie vietnamite si sono fatte avanti perché temono che i propri cari siano tra i morti. I corpi sono stati portati all’ospedale di Broomfield per gli esami post-mortem e fonti vicine alla polizia irlandese riferiscono che l’unità di refrigerazione del camion - che avrebbe potuto far scendere fino a -25°C - era stata attivata, togliendo ai 39 disperati “ogni possibilità di sopravvivenza”. Ma anche se il rimorchio non fosse stato raffreddato, le vittime sarebbero morte per il lento esaurimento dell’ossigeno.
L’autista del camion, Maurice ‘Mo’ Robinson, 25 anni, originario dell’Irlanda del nord, è stato arrestato mercoledì scorso per sospetto di omicidio e rimane in custodia. Secondo quanto avrebbe raccontato nei primi interrogatori, Robinson ha aperto il retro del tir per prendere alcuni documenti necessari ai controlli ed ha perso i sensi quando ha scoperto i 39 corpi senza vita. “È stato lui ad avvertire la polizia”, ha dichiarato un suo amico.
Il localizzatore GPS del container è stato attivato alle 15:06 del 15 ottobre, dopo aver viaggiato da Dublino a Monaghan, vicino al confine con l’Irlanda del Nord. Si è poi fermato a Warwickshire e Kent prima di imbarcarsi sul traghetto che attraversa il canale della Manica in direzione del Belgio, per poi fare rotta verso Calais e Dunkerque, i punti caldi dei migranti in Francia. Da qui, è ripartito verso il tragico viaggio di ritorno verso il Regno Unito.
Poche ore dopo l’arresto di Robinson, la polizia ha confermato il fermo di quattro persone: un irlandese di 48 anni, bloccato all’aeroporto di Stansted per sospetto omicidio colposo e tratta di esseri umani, quindi Thomas Maher e la moglie Joanna, 38enni di Warrington, arrestati per gli stessi reati. Secondo il quotidiano “The Irish Mirror”, la polizia ha forti sospetti anche nei confronti di un cittadino bulgaro, interrogato per diversi legami con il veicolo, ma le autorità non hanno confermato la notizia.
La Cina ha incolpato formalmente la Gran Bretagna di non vigilare a sufficienza sulle tratte dei migranti: “Non è la prima volta che succede, e sorge spontanea una domanda: perché questi disastri avvengono sempre nel Regno Unito e non in Europa o in America?”.
La polizia sta cercando di capire se il gruppo di migranti è passato fra le mani di diverse bande ai confini dell’Asia centrale e altre che agiscono in Europa. Fra i più pericolosi ci sono gli “Snakehead” cinesi, particolarmente attivi e spietati nella tratta di esseri umani: trasportando “schiavi” e prostitute da est a ovest con profitti che negli ultimi anni sono saliti alle stelle, alimentati dalla disperazione dei contadini disposti a rischiare la vita per sfuggire alla povertà, illusi che ad aspettarli in Gran Bretagna ci siano lavori ben pagati come camerieri o impiegati. Non è così: migliaia di donne che cadono nelle grinfie degli Snakehead finiscono prigioniere nei bordelli o schiavizzate in laboratori clandestini di droghe.