Di Marco Belletti
“Is this the real life? Is this just fantasy?” cantava Freddie Mercury con i suoi Queen nel capolavoro “Bohemian Rhapsody”. Che tradotto significa “Questa è la vita reale o è solo fantasia?”.Il tema sembrerebbe essere prerogativa di racconti e romanzi di fantascienza, ma recentemente – anche grazie alla spinta di scrittori sempre più bravi ad approfondire gli argomenti interiori oltre che tecnologici e dare loro uno spessore impensabile fino a qualche anno fa – il ragionamento è passato a psicologi e filosofi, dando vita ad argomentazioni “fusion” tra varie discipline.
Uno degli esperti che ha riflettuto su questi aspetti è Matthew Francis che in un articolato servizio su “Aeon” – rivista digitale di idee, filosofia e cultura – affronta questo tema in qualità di scrittore e relatore scientifico specializzato in fisica, astronomia e cultura della scienza.
Francis parte dall’assunto che la nostra specie non è eterna e che in qualche modo e in un qualche tempo scomparirà per sempre senza, probabilmente, lasciare tracce. Ma prima che l’umanità sparisca ci sono buone possibilità che riesca a realizzare un organismo informatico con una potenza di calcolo enorme, sufficiente a emulare l’esperienza umana in tutti i suoi infiniti dettagli. E visto che manca davvero molto poco per arrivarci (almeno in teoria), Francis si domanda se in realtà non sia già successo: cioè, viviamo in una simulazione al computer e la realtà che sperimentiamo è solo una parte del programma?
La moderna tecnologia informatica è estremamente sofisticata e lo diventerà sempre di più dopo l’introduzione del calcolo quantistico, quando grazie a macchine potentissime l’umanità sarà in grado di eseguire simulazioni su larga scala di sistemi fisici più complessi. Forse riuscendo anche a comprendere organismi viventi completi, come gli esseri umani.
A prima vista potrebbe sembrare un’idea folle, degna di un B-Movie fantascientifico degli anni Quaranta, ma in realtà non lo è. Alcuni filosofi hanno recentemente sostenuto che se accettiamo la complessità dell’hardware dei computer, è abbastanza probabile che facciamo già parte di una simulazione, una creazione virtuale del passato dell’umanità. Tre fisici nucleari hanno proposto un modo per sperimentare questa ipotesi, basato sul concetto che ogni programma scientifico fa ipotesi semplificatrici. In pratica, se viviamo davvero in una simulazione potremmo essere in grado di usare gli esperimenti per rilevare queste ipotesi.
Entrambe queste prospettive, una logica e l’altra empirica, danno per accettabile il fatto che potremmo vivere in una simulazione senza essere in grado di distinguere la differenza con la realtà. Del resto – afferma Francis – i risultati dell’esperimento di simulazione potrebbero anche essere spiegati senza che l’umanità viva in un mondo simulato, e quindi rimane il dubbio: c’è un modo per capire se viviamo una vita simulata o no?
In pratica, se i nostri discendenti fossero interessati a creare simulazioni degli antenati, le alternative non vere potrebbero essere così reali da permettere ai nostri “avatar” di vivere esperienze talmente precise da superare le nostre stesse esperienze in prima persona? O, quanto meno, quelle di esseri umani che sono effettivamente esistiti nella realtà fondamentale? A patto, naturalmente, che questa realtà esista o sia esistita…
Troppo complicato? Il filosofo Nick Bostrom ha fornito un quadro di riferimento per risolvere questo problema, sostenendo che dobbiamo dare per scontato che una delle tre affermazioni è vera. O gli esseri umani si estinguono prima di raggiungere la tecnologia che produce la simulazione. O la civiltà che verrà dopo di noi ha poco interesse a creare e utilizzare questa tecnologia. O noi stessi siamo probabilmente parte di una simulazione. Bostrom afferma che, a parità di condizioni, le probabilità che un’esperienza cosciente sia un’esperienza simulata sono maggiori. Ce ne sarebbero molte di più se le altre due condizioni (estinzione o mancanza di interesse) fallissero.
Come dicevamo, l’idea che la coscienza umana sia simulata è un caposaldo della fantascienza, e Philip K. Dick è uno dei massimi esponenti di questo genere. Le sue teorie sono state riprese in numerosi film, quelli che affrontano più a fondo queste tematiche sono la serie di “The Matrix”, iniziata nel 1999. Il mondo che conosciamo è una simulazione al computer per tenere occupato il cervello degli esseri umani mentre dai corpi viene raccolta energia. In pratica vivono come avatar in un ambiente di realtà virtuale completamente immersivo, tuttavia la simulazione non è perfetta in quanto alcune menti preparate possono vederne i difetti, tanto da fare entrare in Matrix chi vive nel “mondo reale”.
L’approccio di Bostrom è diverso: per lui tutto l’universo è una simulazione, non solo l’umanità, e ogni aspetto della vita umana è parte del codice, comprese le nostre menti e le interazioni con le parti non senzienti del programma. In ogni caso, il filosofo ritiene che anche per i più potenti sistemi di calcolo non è percorribile una completa emulazione della realtà. Non tutti i dettagli sono simulati, non c’è bisogno che il programma definisca tutte le particelle in ogni loro dettaglio, è sufficiente che compaiano solo quando necessario per dare vita a una realtà completamente coerente. Se vediamo una casa dal di fuori non è necessario che esista realmente anche l’interno per credere che ci sia. Ma quando entriamo ci deve essere!
Queste speculazioni filosofiche contribuiscono a creare teorie scientifiche su temi altrimenti non risolvibili. Per esempio, gli astronomi sono certi che nell’universo i pianeti abitati da esseri senzienti sono milioni, eppure finora non ne abbiamo visto nessuno. Vivendo in una simulazione potremmo affermare che gli alieni non fanno parte del programma.
Un universo simulato potrebbe essere stato progettato per un eventuale sviluppo della vita, oppure potrebbe essere il risultato di un esperimento in cui molti parametri sono stati testati prima che la vita fosse possibile. I cosmologi stanno eseguendo simulazioni simili, pur se molto più semplici, per scoprire quanto sia probabile che il nostro cosmo derivi da condizioni di partenza casuali. Da un punto di vista scientifico è irrilevante se non riusciamo a distinguere un universo simulato da uno reale, se viviamo o meno in una simulazione: questa è la nostra realtà ed è tutto ciò che abbiamo.
Bostrom tuttavia va oltre e nella sua argomentazione sulla simulazione afferma che “se dovesse verificarsi un errore nel programma, il responsabile potrebbe facilmente modificare lo stato ed eliminare l’anomalia prima che rovini la simulazione. In alternativa, si potrebbe tornare indietro di qualche secondo o minuto o ora, e ripetere l’evento in modo da evitare il problema”.
Proviamo: “Is this the real life? Is this just fantasy?” cantava Freddie Mercury con i suoi Queen…