di Marco Belletti
"L’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi appartiene a se stesso, se e solo se, non appartiene a se stesso". Questa frase piuttosto articolata e decisamente difficile da comprendere è il paradosso che il filosofo e logico britannico Bertrand Russell formulò tra il 1901 e il 1902 ed è una delle più importanti affermazioni nella storia della filosofia e della logica.
Russell si rese conto che il suo ragionamento sarebbe stato apprezzato da ben poche persone se non lo avesse riformulato in modo più divulgativo e comprensibile alla massa e così ne inventò una versione più accessibile: in un villaggio vi è un solo barbiere, che è un uomo ben sbarbato, che rade tutti e solo gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Chi rade il barbiere?
In realtà le affermazioni di Russell non sono un paradosso (cioè una conclusione logica e non contraddittoria che si scontra con il nostro modo abituale di vedere le cose) ma una antinomia, una proposizione che risulta auto-contraddittoria sia se è vera, sia se non lo è.
Bertrand Russell nacque il 18 maggio 1872 in Galles: fu un filosofo, logico, matematico, attivista e saggista oltre che autorevole esponente del movimento pacifista e divulgatore della filosofia. Gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura nel 1950, ed è generalmente considerato uno dei fondatori della filosofia analitica, protagonista della prima metà del Novecento, oltre che un razionale e neopositivista, da alcuni avvicinato alle correnti filosofiche dell’antiteismo, cioè l’opposizione alla fede in qualsiasi divinità.
Riteneva che il miglior governo fosse una federazione mondiale tra stati liberi. Dopo essersi opposto alla prima guerra mondiale (per cui perse la cattedra all’università di Cambridge e incarcerato per sei mesi) anche negli anni precedenti la seconda guerra mondiale Russell fu favorevole a una politica pacifista e di dialogo con i nazisti per impedire un nuovo conflitto. Ben presto cambiò opinione e passò a un “pacifismo relativo”: affermò che pur essendo un male, in circostanze estreme la guerra era quello minore.
Il filosofo gallese ebbe modo di conoscere di persona o di confrontare a distanza le proprie idee con alcuni dei più grandi pensatori contemporanei, curiosamente soprattutto nati nella Mitteleuropa.
Russell inventò la sua antinomia dopo aver letto il primo volume dei “Principî dell’aritmetica”, testo scritto dal famoso logico tedesco Gottlob Frege, che con le sue teorie cercava di basare tutta la matematica sulla logica.
Il 16 giugno 1902 Russell scrisse a Frege una lettera in cui lo informava di aver scoperto un punto critico al suo tentativo di basare la matematica sulla logica, e gli espose l’antinomia/paradosso. La teoria del tedesco enunciava che le proprietà di ogni oggetto individuavano l’insieme degli oggetti stessi: Russell confutava che la proprietà di non appartenere a se stesso originava un insieme dalle caratteristiche contraddittorie, non accettabili dalla teoria logicistica. A Frege non rimase altro da fare che aggiungere un’appendice al secondo volume della sua opera – ormai terminata e pubblicata di lì a poco – in cui divulgava l’antinomia e ammetteva con sconforto che le sue teorie non erano complete, aprendo quella che sarà in seguito definita la “crisi dei fondamenti della matematica”.
Questa crisi intaccò le certezze fondamentali di fisica, filosofia e matematica d’inizio secolo, facendo scomparire le dottrine filosofiche di stampo positivista e dimostrando la contraddittorietà della teoria degli insiemi di Georg Cantor – matematico tedesco, padre della moderna teoria degli insiemi – da cui era partito Gottlob Frege nel tentare di risolvere il problema dei “fondamenti della matematica”, cioè la definizione di basi precise e comuni per l’intera struttura concettuale della matematica.
Inoltre, l’antinomia di Russell generò problemi che rimasero insolubili, nonostante diversi tentativi di trovare risposte, fino al 1931 quando il logico austriaco Kurt Gödel chiarì definitivamente la questione dimostrando, con due teoremi di incompletezza, l’impossibilità di produrre una fondazione certa dell’aritmetica. L’impatto delle opere del matematico-filosofo austriaco fu enorme e si diffuse anche fuori dal mondo accademico: nel 1931 a 25 anni, Gödel pubblicò i teoremi che portano il suo nome secondo i quali se un sistema formale è logicamente coerente, la sua non contraddittorietà non può essere dimostrata all’interno di quello stesso sistema logico.
Tra il 1911 e il 1914 Russell fu maestro di un altro logico molto importante. Infatti Gottlob Frege consigliò al giovane viennese Ludwig Wittgenstein di recarsi a Cambridge per studiare proprio con il filosofo gallese, che lo aiutò a trovare sia un editore per la pubblicazione del “Tractatus logico-philosophicus” sia un incarico all’università. Nacque un’amicizia profonda anche se Russell disapprovò l’approccio ai problemi filosofici di Wittgenstein, che replicò affermando che il suo maestro era superficiale e falso. Per la fondazione della logica e per la filosofia del linguaggio Wittgenstein è considerato – soprattutto da parte del mondo accademico anglosassone – il massimo pensatore del XX secolo.
Il pensiero di Wittgenstein è veramente articolato. Per lui il mondo è la totalità dei fatti e non delle cose, per cui invita a pensare il mondo non come un insieme di oggetti ma come fatti: nell’espressione “la porta cigola” non si devono considerare i due oggetti porta e cigola, ma l’insieme composto da entrambi, cioè il fatto che cigola. Inoltre, per Wittgenstein il linguaggio non è solo quello che parliamo, ma è la capacità di espressione che abbiamo, dalla pittura alla matematica, dalla logica matematica alla musica.
La sera del 25 ottobre 1946, Bertrand Russell organizzò a Cambridge quello che sembra sia stato l’unico incontro tra Wittgenstein e Karl Popper, contattati per farli confrontare sul tema “esistono problemi filosofici?”: domanda formulata in modo da implicare il fatto che almeno un problema sia rimasto!
Popper è stato un epistemologo austriaco, considerato anche filosofo politico: difensore della democrazia, degli ideali di libertà e contrario a ogni forma di totalitarismo, è famoso per la difesa della “società aperta”, con un governo sensibile e tollerante, meccanismi politici trasparenti e flessibili al cambiamento, in modo da permettere a tutti di partecipare ai processi decisionali.
Nell’incontro Wittgenstein sostenne che la filosofia doveva solo concentrarsi sullo studio del linguaggio, Popper era convinto che essa dovesse affrontare le grandi questioni della vita e della morale: per lui i filosofi costruiscono teorie come gli ingegneri costruiscono ponti. Per Wittgenstein la filosofia tradizionale si riduce a una serie di pseudo-risposte a pseudo-problemi e manifestò il rifiuto ad accettare la definizione di problemi per i fatti filosofici da lui chiamati “rompicapi linguistici”. Al contrario, Popper negò la definizione di rompicapi, affermando che la filosofia doveva porsi dei problemi.
Sembra che il confronto tra i due abbia travalicato rapidamente i limiti dell’educazione, con Popper che continuava a canzonare Wittgenstein – probabilmente con la complicità di Russell che poteva prendersi una piccola vendetta sulla superiorità intellettiva del suo amico – e il secondo che minacciò il primo con un attizzatoio del camino forse per la prima volta in vita sua incapace di replicare. “Non minacciare i conferenzieri in visita con un attizzatoio” sembra abbia affermato Popper e Wittgenstein gettò a terra il ferro, si alzò e uscì dalla stanza.
Forse, a guardare bene, l’incontro fu un’occasione perduta per Popper di confrontarsi alla pari con Wittgenstein e per quest’ultimo di dimostrare senza ombra di dubbi la sua superiorità rispetto a qualsiasi altro filosofo del secolo.
Probabilmente, quella sera a imporsi fu la logica di Russell con un altro dei suoi paradossi: in una stanza ci sono due filosofi, uno domina il secondo grazie alla sua arguzia e l’altro soggioga il primo grazie alla lucidità dei suoi pensieri. Chi supera entrambi ed è il più grande pensatore del mondo?