Di Marco Belletti
“Caro signor Fante, che cos’ha contro lo scrivere a macchina? Se trascriverà il suo manoscritto a macchina sarò contento di acquistarlo”.Fu un poco più che ventenne John Fante – che aveva lasciato da qualche mese il Colorado per la California e allontanarsi da un padre che lo opprimeva – a ricevere questa sintetica lettera dall’editore Henry Louis Mencken: queste poche righe diedero inizio alla carriera del giovane, con la pubblicazione del suo primo racconto.
Nato l’8 aprile 1909 a Denver, figlio di Nicola, di origini abruzzesi, e di Mary, di origini lucane, Fante aveva frequentato scuole cattoliche e l’università del Colorado e quando divenne ufficialmente scrittore, con i suoi primi racconti pubblicati, fece trasferire madre e fratelli a Los Angeles. Nonostante il pessimo rapporto con il padre, l’Italia farà parte per tutta la carriera nell’immaginario di Fante. Il protagonista di alcuni suoi romanzi si chiama Arturo Bandini ed è orgoglioso delle sue origini. Il romanzo “Aspetta primavera Bandini” racconta la vita degli emigrati italiani nel primo Novecento. I testi di Fante contengono numerosi termini in italiano ma purtroppo fino alla metà degli anni Novanta nel nostro Paese ben pochi lo conoscevano e non esistevano traduzioni dei suoi libri. Solo di recente a Torricella Peligna (paese di origine del padre), in agosto si svolge un concorso letterario a lui dedicato che premia i migliori scrittori emergenti.
La scrittura di Fante racconta l’animo umano e ne coglie tutti i suoi vari aspetti e contraddizioni. Dovette lottare tutta la vita per farsi riconoscere lo “status” di grande scrittore e solo dopo la sua morte i romanzi che scrisse raggiunsero il meritato successo.
Affermazione di cui il suo scopritore Mencken era veramente convinto, visto che la collaborazione tra i due – iniziata nel 1932 sulla rivista “The American Mercury” – proseguì per molti anni sfociando in un profondo rapporto di amicizia e dando vita a numerose storie che descrissero spaccati di realtà che mettevano in evidenza i risvolti interiori dei personaggi. In questa ricerca dei caratteri delle persone che raccontava, Fante fu debitore alla letteratura russa dell’Ottocento e alla sua passione per Fëdor Dostoevskij, che ammirava e che imitò non tanto nello stile e nella forma, quanto per i temi trattati: la vita della gente comune.
L’alter ego letterario di John Fante è senza dubbio Arturo Bandini, protagonista di quattro romanzi tutti ambientati a Los Angeles e di grande successo internazionale. Tuttavia i primi due a essere scritti (“Aspetta primavera Bandini” e “La strada per Los Angeles”) oltre a trovare difficoltà nell’essere pubblicati, furono ferocemente criticati per il modo di raccontare diretto, senza censure e freni inibitori dello scrittore. Solo quando Charles Bukowski scoprì in una biblioteca alla fine degli anni Settanta “Chiedi alla polvere” (dopo essere stato incuriosito dalle prime righe, fu conquistato dal resto del volume) Fante venne riscoperto dal grande pubblico, in quanto la sua opera fu ripubblicata integralmente dalla “Black Sparrow”, la casa editrice di proprietà di Bukowski. Purtroppo, lo scrittore non riuscì a godere questo successo, in quanto morì dopo l’uscita del primo titolo.
Nei quarant’anni di oblio, Fante riuscì a sopravvivere grazie alla sua scrittura, pur non riscontrando una grande popolarità di pubblico. Infatti, dopo l’insuccesso dei suoi due primi romanzi cercò di cambiare stile, scrivendo un libro sulla comunità filippina di Los Angeles. Nonostante numerosi tentativi di stesura, il risultato non fu considerato sufficiente dall’editor e dopo alcuni mesi si allontanò dalla letteratura. Durante la seconda guerra mondiale sospese la sua attività di scrittore a causa dell’impegno come collaboratore per i servizi d’informazione. Tornò a scrivere nel 1952, quando pubblicò “Una vita piena”, unico romanzo che riscosse un buon successo mentre Fante era in vita.
Per sopravvivere iniziò a scrivere sceneggiature per Hollywood, permettendo così di garantirsi una vita agiata insieme con la moglie Joyce Smart sposata nel 1937 e i quattro figli, pur riconoscendo di aver “venduto l’anima al business cinematografico”. Collaborò anche con Dino De Laurentiis in Italia e solo negli ultimi anni di vita abbandonò l’attività di sceneggiatore per dedicarsi esclusivamente ai romanzi: risalgono a questo periodo altri due capolavori come “La confraternita dell’uva” e “Sogni di Bunker Hill”.
Nonostante le sue origini italiane, Fante fu a lungo trascurato dagli editori del nostro Paese e soltanto dopo la morte sono stati pubblicati i suoi libri. Il primo fu nel 1992 “La strada per Los Angeles” e da allora la sua fama è costantemente cresciuta. Nel 2015 il suo volto fu pubblicato sulla copertina del volume di Einaudi dedicato alle lettere che Fante aveva scritto, soprattutto alla madre, alla moglie e all’editore Mencken. Purtroppo, a causa di una colossale svista, la prima edizione riportava la foto di Stephen Spender e non quella di Fante. Quando l’editore ammise l’errore su Twitter si scatenò una vera caccia al volume tanto che in pochi giorni un libro decisamente di nicchia divenne un bestseller. Einaudi di nuovo su Twitter ironizzò “sta a vedere che per vendere John Fante basta mettere Stephen Spender in copertina. A saperlo lo facevamo subito”.
Reso cieco e senza gambe a causa del diabete Fante continuò a lavorare dettando alla moglie, parola per parola, il suo ultimo volume “Sogni di Bunker Hill” ancora con protagonista Arturo Bandini. Morì a Los Angeles l’8 maggio 1983, un mese dopo aver compiuto 74 anni.
L’8 aprile 2010, 101esimo anniversario della nascita di Fante, gli è stata intitolata la piazza di Los Angeles nel quartiere di Bunker Hill dove lo scrittore ha vissuto e dove sorge la biblioteca pubblica in cui Charles Bukowski a riscoperto “Chiedi alla polvere”.