Michelangelo Buonarroti non ha certo bisogno di presentazioni e la sua bravura è riconosciuta in tutto il mondo. Soprattutto con lo scalpello, se si pensa che ha realizzato una delle sue opere più significative utilizzando un blocco di marmo scartato da altri artisti perché ritenuto di lavorazione troppo difficile.
Nel 1451 un blocco di marmo proveniente dalle cave di Carrara viene consegnato allo scultore Agostino di Duccio, che in quegli anni lavora a Rimini. Nato a Firenze nel 1418, diventa celebre per la sua bravura nell’uso dello “stiacciato”, una tecnica scultorea che permette di realizzare un rilievo con variazioni minime – anche solo millimetri – rispetto al fondo e che può essere realizzato anche incavato. E per creare l’illusione della profondità lo spessore diminuisce in modo graduale dal primo piano allo sfondo.
Agostino di Duccio si forma con Donatello e Michelozzo ma a 23 anni è costretto a fuggire, in quanto accusato del furto di materiali preziosi, e si rifugia a Modena dove nel 1442 realizza l’altare di San Geminiano per il Duomo. Si trasferisce quindi a Venezia dove conosce Matteo de’ Pasti, che gli offre un lavoro per decorare l’interno del tempio malatestiano a Rimini. Nella città romagnola tra il 1449 e il 1457 è impegnato come progettista e esecutore delle decorazioni all’interno del tempio, con figure dai temi pagani e dalle complesse allegorie per celebrare Sigismondo Pandolfo Malatesta e la sua dinastia. È in questa attività che commissiona il blocco di marmo per realizzare una statua di Ercole: di Duccio inizialmente realizza un abbozzo di figura umana così grande da chiamarla il “gigante” ma smette presto di lavorare il blocco per alcuni dissidi con i committenti o forse perché non ha esperienza in statue di grandi dimensioni. Lo scultore continua a lavorare tra Forlì, Cesena, Perugia e tra il 1463 e il 1470 torna a operare a Firenze. Muore nel capoluogo umbro presumibilmente nel 1481.
Nel frattempo il marmo già abbozzato resta inutilizzato per oltre dieci anni, fino a quando lo scopre un altro scultore fiorentino, Antonio Rossellino. Nato nel 1427 a Settignano, frazione di Firenze, Rossellino dopo aver lavorato per alcuni anni a Forlì, nel 1461 torna a Firenze per realizzare la tomba del cardinale del Portogallo in San Miniato al Monte. In questa opera – alla quale lavora fino al 1466 – riprende i temi e gli schemi dei precedenti monumenti funebri di cultura umanistica, riuscendo a ottenere una perfetta monumentalità. Il blocco di marmo abbandonato da di Duccio attira l’attenzione di Rossellino (forse anche per il suo costo più basso della media) che lo vuole utilizzare per realizzare una delle numerose statue della tomba: due angeli, il defunto adagiato su un sarcofago, due geni, due unicorni, un toro e una biga alata. Ma ben presto rinuncia ritenendo il blocco già abbozzato troppo difficile da lavorare per cui il marmo torna un’altra volta ad attendere il suo momento in un magazzino. Rossellino prosegue l’attività e diventa famoso soprattutto per le sue creazioni in terracotta, caratterizzate dai colori tenui, che piacciono e gli permettono di ottenere un alto numero di richieste. Muore a 52 anni a Firenze, nel 1479.
Il blocco di marmo sopravvive pressoché grezzo a entrambi gli scultori che avrebbero voluto lavorarlo viene adocchiato da Michelangelo che ritiene di poterlo lavorare senza tagliarlo o fare aggiunte e il 13 settembre 1501 inizia a scolpirlo fino a creare il David. Ma perché questo marmo è stato scartato da due ottimi artigiani e solo la bravura di Michelangelo gli ha permesso di diventare un capolavoro?
Abbiamo la risposta a questa domanda grazie a un atto di vandalismo. Il 14 settembre 1991 Pietro Cannata, che si scoprirà poi essere uno squilibrato, entra nel museo dell’Accademia di Firenze con un martello e colpisce violentemente un piede della statua, affermando che a chiedergli di farlo è nientemeno la “bella Nani”, una donna di cui non si conosce la vera identità ritratta in un quadro di Paolo Caliari detto il Veronese.
Fortunatamente i danni sono limitati all’alluce e alle prime due dita del piede sinistro e la parte danneggiata viene ricostruita con i frammenti originali recuperati. Grazie all’analisi delle schegge gli scienziati hanno potuto identificare con precisione la provenienza del blocco (le cave di Fantiscritti a Miseglia) e hanno scoperto che il marmo usato da Michelangelo è di qualità mediocre, pieno di microscopici fori che lo rendono fragile, da far temere agli scultori un possibile cedimento. Inoltre, il blocco ha una forma eccessivamente stretta e alta (ben più di 5 metri) che rende complicato lo sviluppo anatomico di qualsiasi figura umana.
Michelangelo non si cura di questi dettagli e così il David viene terminato nel 1504, quando lo scultore ha solo 29 anni. Una commissione di esperti (composta tra gli altri da Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli, Filippino Lippi e Andrea della Robbia) stabilisce di collocare il David dove vorrebbe il suo autore: a Firenze, in piazza della Signoria sulla gradinata di Palazzo Vecchio sostituendo la Giuditta di Donatello. Per il trasporto dal cantiere, 40 uomini trainano la statua per quattro giorni, sorvegliandola di notte per evitare che qualche moralista la danneggi per la nudità della figura. Il 18 maggio 1504 il David arriva in piazza della Signoria e viene posizionato, diventando subito il simbolo della repubblica fiorentina vittoriosa contro i nemici, ed è celebrato perché opera in grado di cambiare il gusto estetico del tempo.
Da allora sono davvero numerose le vicissitudini che la statua ha dovuto subire negli anni. Nel 1512 un fulmine colpisce il basamento della statua provocando alcuni preoccupanti segni di cedimento all’altezza delle caviglie, ma che in realtà non causano danni eccessivi. Il 26 aprile 1527 durante i tumulti per l’allontanamento dei Medici da Firenze, un gruppo di repubblicani fiorentini barricati nel palazzo Vecchio gettano sugli assedianti pietre, tegole e mobili, alcuni dei quali colpiscono il David, frantumando in tre pezzi il braccio sinistro e scheggiando una spalla. I segni del restauro sono visibili ancora oggi. Risale al 1813 la ricostruzione del dito medio della mano destra danneggiata e trent’anni dopo Aristodemo Costoli restaura la statua con il drastico metodo allora in uso, utilizzando acido cloridrico e ferri taglienti. I danni provocati sono irreparabili, con la superficie danneggiata da graffi profondi fino a due millimetri.
Più recentemente, due professori di anatomia dell’Università di Firenze hanno affermato che al David – da sempre considerato simbolo di perfezione fisica – manca in realtà un muscolo, in quanto c’è un vuoto tra la colonna vertebrale e la scapola destra. Ma grazie a una lettera che Michelangelo ha scritto a un conoscente, è stato possibile scoprire che lo scultore ne era consapevole e che non ha potuto fare diversamente a causa della conformazione del blocco di marmo. A questo punto una domanda è d’obbligo: chissà che capolavoro sarebbe il David se Michelangelo avesse scelto un altro blocco di marmo?