
Ultimo di dieci figli di una famiglia poverissima, aveva iniziato la lotta armata dieci anni prima, guidando la rivoluzione contro la povertà imposta dal dittatore Porfirio Diaz: il suo obiettivo, semplicemente ridare le terre ai peones, i contadini, gli ultimi degli ultimi. Come gli eroi veri, quelli che se proprio devono ammazzare non lo fanno per tornaconto personale, ma per quel senso di giustizia che almeno, ogni tanto, la natura concede a qualcuno.

A rendere immortale la sua storia ci aveva pensato Marlon Brando nel 1952, prestando il suo volto al rivoluzionario messicano in “Viva Zapata”, un’interpretazione che gli era valsa la nomination all’Oscar, a soli 28 anni, e la consacrazione della carriera.
Il motto di Zapata, ancora celebrato ovunque, era “Reforma, Literda, Justicia y Ley”, ma Emiliano aveva forse dimenticato di aggiungere un termine inglese che allora non aveva senso, e oggi invece fa girare il mondo: marketing.
I suoi discendenti pare abbiano firmato un sostanzioso contratto commerciale per rendere il cognome di famiglia, Zapata, un vero marchio, da moltiplicare a piacere ovunque: dalla tequila, che sembra destinata ad essere una delle prime declinazioni, ai sombrero, il tradizionale copricapo messicano che piace tanto ai turisti.