Di Marco Belletti
Cade di domenica, l’8 gennaio 1581, quando nella famiglia Melandroni di Siena nasce Fillide: la madre è la sedicenne Cinzia Guiducci, mentre il padre Enea è l’ultimo discendente di una nobile famiglia cittadina. Sembra che la neonata sia stata battezzata nel Battistero di San Giovanni, arricchito dalle opere di Jacopo della Quercia, Lorenzo Ghiberti e Donatello: una sorta di premonizione visto quello che diventerà Fillide.Di lei e della sua famiglia si sa poco fino a quando la ragazza compie 13 anni: è a Roma con la madre malata, mentre del padre non c’è traccia in alcun documento. Sabato 23 aprile 1594 è la data di un verbale della polizia in cui è riportato che quella notte “donna Filidia d’Enea senese”, in compagnia di due uomini e di una tal Anna Bianchini, viene fermata dietro al monastero di San Silvestro da una ronda e siccome è vietato dalla legge andare in giro la notte, i quattro sono “presi et menati prigioni in Tor di Nona”.
Nel 1595, quando Fillide ha solo 14 anni, muore la madre Cinzia e la ragazza si affida all’aiuto di Piera, una zia paterna, del fratellastro Silvio – più anziano di sei anni, figlio di primo letto di suo padre, che ha un lavoro da cuoco – e dell’amica Anna Bianchini: grazie a loro si prende cura del fratello minore Niccolò, pur vivendo un periodo di grave indigenza, estrema povertà ed emarginazione sociale.
Fillide e Anna abitano presso Trinità dei Monti, poco distante dalla locanda Serena in cui, con la compiacenza dell’oste, intrattengono soldati, viaggiatori, forestieri e personaggi poco onesti. Nonostante questo sia un periodo piuttosto burrascoso per la giovane – con liti, minacce, insulti e aggressioni di clienti e altre donne, Fillide non smette mai di credere di poter raggiungere una situazione sociale migliore e non si fa sopraffare da nessuno dei tanti protettori che la vorrebbero soggiogare, ma aspetta il momento opportuno che arriva quando – appena 17enne – conosce i fratelli Tomassoni, uomini d’arme di bassa nobiltà che arrivano da Terni e hanno conoscenze altolocate: gestiscono nel rione Campo Marzio l’organizzazione e il controllo di un giro di cortigiane per una clientela scelta di gentiluomini, cardinali, nobili e prelati. La vita della giovane Melandroni cambia radicalmente: va a vivere con il fratello in una casa dignitosa, può permettersi una serva e quando trasgredisce ai bandi del Governatore non deve renderne più conto alla giustizia. Per esempio, durante il carnevale del 1599, quando in casa sua c’è “gran ridotto de giovani”, e per gli schiamazzi arriva una ronda, è Ranuccio Tomassoni armato di spada che protegge la cortigiana dall’arresto. È proprio Ranuccio che – gestendo i clienti di Fillide – mette in contatto la ragazza con il pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio che, per realizzare la Santa Caterina d’Alessandria, usa Fillide come modella.
Ma presto Ranuccio Tomassoni si invaghisce di Prudenzia Zacchia, più giovane della non ancora 20enne Fillide che, accecata dalla gelosia e arrabbiata per aver perso la posizione di favorita, dapprima insulta e quindi aggredisce l’avversaria, prova a sfregiarle il volto con un coltello e la ferisce a una mano. Arrestata, viene condannata finendo per passare alcuni giorni in carcere: tornata libera Fillide è costretta a prostituirsi senza un protettore e finisce spesso e volentieri a far visita altre volte alle prigioni.
Per sopravvivere si rifugia nuovamente dalla zia Piera, ma continua a prostituirsi e a dare vita a liti e scontri con le rivali. Verso la fine del 1602 aggredisce con graffi e pugni Amabilia Antognetti e la sorella Maddalena, prossima al parto: incredibilmente questa lite fa nascere un rapporto di amicizia tra le donne e Fillide torna a essere protetta da un Tomassoni, il fratello Giovan Francesco, e sotto la sua protezione nel 1603 la donna inizia a godere di una certa agiatezza.
Quella che era stata definita solo pochi anni prima una “corteggiana scandalosa” ora si dedica a opere di carità, frequenta la parrocchia di Santa Maria del Popolo e inizia una relazione con il nobiluomo veneziano Giulio Strozzi, figlio naturale di un banchiere fiorentino. Trasferito a Roma per tentare la carriera ecclesiastica, Giulio trascura presto le volontà del padre per amore della bella cortigiana. Addirittura, nel 1604 lo Strozzi commissiona a Caravaggio un dipinto della sua amata Fillide. La coppia trascorre alcuni anni tranquilli, e mentre con Giulio Strozzi invita poeti e letterati nella loro abitazione, la donna viene a conoscenza del fatto che Ranuccio Tomassoni e Caravaggio si sono scontrati a duello e il protettore è stato ucciso dal celebre pittore, costretto a fuggire da Roma.
Quando all’inizio del 1612 muore il padre, Giulio Strozzi eredita una cospicua quantità di denaro e i familiari si rivolgono a Papa Paolo V – della famiglia Borghese – affinché separi i due amanti. In aprile un avviso del pontefice informa che “all’improviso d’ordine del papa è stata presa una tal Fillide famosa cortegiana et mandata fuori di Roma con ordine che non vi debba più tornare”.
Un po’ come Caravaggio che era stato suo amante e l’aveva più volte ritratta, anche Fillide si allontana dalla città ma dopo aver trascorso un paio d’anni in esilio a Siena, le viene permesso di rientrare in quanto Giulio Strozzi se n’è andato per sempre da Roma, tornando a Venezia.
Tranquilla dal punto di vista economico e aiutata da Giovan Francesco Tomassoni che le è rimasto amico, Fillide stila il suo testamento mercoledì 8 ottobre 1614. A 32 anni la donna lascia – come d’obbligo per ogni cortigiana – al monastero delle Convertite la quinta parte della sua eredità e per i restanti beni (mobili e immobili) nomina eredi universali i nipoti Nicola e Giacomo, figli del fratello Silvio, ormai morto. Alla zia Piera lascia 50 scudi e alla sua “alunna” Maddalena la cospicua somma di 100 scudi per farsi la dote. Per la sua anima dispone alcune donazioni alle chiese di Santa Maria in Costantinopoli, Sant’Anna del Carmine e San Martino ai Monti e all’Ospedale dei poveri fanciulli letterati dell’Urbe. Infine, dispone che il ritratto fattole da Michelangelo Merisi da Caravaggio sia restituito a Giulio Strozzi che glielo aveva donato.
Fillide Melandroni muore martedì 3 luglio 1618 a 37 anni, e viene sepolta secondo le sue volontà nella chiesa di San Lorenzo in Lucina. Quando il notaio alcuni giorni dopo si reca nella casa della “famosa corteggiana” per fare l’inventario dei beni, non trova il ritratto di Caravaggio che per anni Fillide ha gelosamente conservato. Non è stato quindi possibile renderlo a Giulio Strozzi, che a Venezia, nei giorni in cui Fillide muore e viene sepolta, non è ancora diventato padre di una figlia illegittima, alla quale trasmetterà l’amore per la musica e la poesia: Barbara Strozzi diventerà musicista e cantante di grande talento.
Ricomparso anni dopo nella collezione Giustiniani, il “Ritratto della cortigiana Fillide” viene acquistato dal museo di Berlino ma nel maggio 1945, quando la capitale tedesca è già capitolata, brucia nel rogo della torre antiaerea in cui era stato depositato per sfuggire alla guerra.