Di Marco Belletti
È strano come le parole che indicano uno stesso oggetto o essere vivente possano assumere in lingue diverse dei significati – o anche solo delle sfumature – molto differenti. Alcuni etimi hanno un’origine comune e differiscono di poco, anche se appartengono a famiglie diverse. È il caso per esempio del termine italiano guerra che anche altre lingue neolatine (francese, spagnolo, portoghese) derivano da una radice germanica che ha portato alla formazione delle parole war o krieg, relegando il latino bellum e il greco πόλεμος (pólemos) a espressioni correlate, come bellico, belligerante o polemica.Completamente diverso il cammino di altri termini che sono invece completamente diversi tra loro. Per esempio, la parola farfalla che solo nel francese mantiene una correlazione con il latino, papillon da papilionem. Quasi tutte le altre lingue del mondo si sono scatenate nel descrivere questi bellissimi lepidotteri con termini molto differenti tra loro: dal tedesco Schmetterling al portoghese borboleta, dall’olandese vlinder al polacco motyl, dal russo бабочка (babochka) al giapponese batafurai. O ancora, dall’hindi titalee al cinese húdié, dal finlandese perhonen all’inglese butterfly, dallo spagnolo mariposa al greco πεταλούδα (petaloúda).
Parlando di farfalle, di certo e di comune in tutte le lingue e culture c’è che da sempre simboleggiano la leggiadria, il cambiamento e la caducità della vita. Forse è questo il motivo per cui le sorelle Mirabal sono state soprannominate “las mariposas”.
Las hermanas Mariposas
È la vicenda di quattro sorelle domenicane che si erano opposte con fervore alla dittatura di Rafael Leónidas Trujillo Molina, tre delle quali furono barbaramente trucidate il 25 novembre 1960, diventando di fatto il simbolo in tutto il mondo dei maltrattamenti nei confronti delle donne, tanto che l’assemblea delle Nazioni Unite, con la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, decreta che il giorno del loro assassinio diventi la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. La quarta sorella non ha ricoperto un ruolo attivo nelle attività contro il dittatore, mentre la maggiore - pur senza essere un’attivista convinta - ha comunque appoggiato e sostenuto l’attività delle ultime due, prestando casa sua per nascondere le armi degli insorti.
I Mirabal erano una famiglia benestante che viveva in una ricca cascina nella regione centrale di Cibao, nella Repubblica Dominicana. I genitori Enrique Mirabal Fernández e Mercedes Reyes Camilo crescono le figlie in un ambiente borghese, sicuramente contrario al dittatore Trujillo che prende il potere nel 1930 con un colpo di stato, abbandonando il ruolo di presidente della repubblica per prendere quello di dittatore, con il soprannome “el jefe”, il capo.
La primogenita è Patria Mercedes Mirabal Reyes, nata il 27 febbraio 1924. A 14 anni Patria viene mandata dai genitori nel collegio cattolico “Inmaculada Concepción” a La Vega che tuttavia abbandona a 17 anni per sposare Pedro González, un contadino che in seguito l’aiuterà a sfidare il regime di Trujillo. “Non possiamo permettere che i nostri figli crescano in questo regime corrotto e tirannico – ha lasciato scritto Patria – ma dobbiamo lottare contro di esso e sono disposta a rinunciare a tutto, anche alla mia vita, se necessario”.
Bélgica Adela Mirabal Reyes, soprannominata “Dedé”, era la seconda figlia dei Mirabal, nata il 29 febbraio o il 1° marzo del 1925. A differenza delle sorelle non frequenta l’università ma resta tradizionalmente in casa ad aiutare la famiglia, senza dedicarsi all’attività politica. Dopo la morte delle sorelle si occupa dei loro figli e negli anni Novanta crea la “Mirabal Sisters Foundation” e il museo “Mirabal Sisters” per mantenere vivo il ricordo delle sorelle. Morta all’età di 88 anni, per tutta la vita Dedé dichiara che il suo destino è stato sopravvivere per poter “raccontare la loro storia”.
María Argentina Minerva Mirabal Reyes è la terzogenita, nata il 12 marzo 1926. Quando ha 12 anni segue Patria al Colegio Inmaculada Concepción per poi iscriversi all’università di Santo Domingo per studiare legge, ma siccome 17enne rifiuta le avances sessuali di Trujillo e le viene negata l’abilitazione all’esercizio della professione. Durante gli studi conosce Manolo Tavárez Justo che diventerà suo marito e l’aiuterà a combattere il regime. Spesso arrestata (e molestata in diverse occasioni su ordine dello stesso Trujillo), Minerva è la più radicale delle sorelle nella sua lotta contro el jefe.
Antonia María Teresa Mirabal Reyes, la più giovane delle sorelle, nasce il 15 ottobre 1935. Anche lei frequenta il Colegio Inmaculada Concepción, si iscrive quindi al Liceo de San Francisco de Macorís e infine studia matematica all’università di Santo Domingo. María sposa Leandro Guzmán e viene influenzata dalle opinioni politiche di Minerva che la coinvolge nelle attività clandestine contro il regime: come conseguenza anche lei viene molestata e arrestata per ordine diretto di Trujillo. Anche lei aveva più volte affermato di non essere spaventata dalla morte, ma che avrebbe continuato a lottare per ciò che è giusto.
Un sanguinario dittatore
Quando Trujillo sale al potere, Enrique Mirabal perde tutti i suoi averi e si convince che il dittatore avrebbe portato il Paese alla rovina. Entra a far parte di un gruppo che si oppone al regime (il “Raggruppamento politico del 14 giugno”) di cui faranno parte anche le figlie che presto saranno conosciute come “las hermanas Mariposas” – cioè le sorelle Farfalle – dal nome di battaglia di Minerva. Imprigionate e torturate nel carcere di La Victoria in diverse occasioni, Minerva e María Teresa sono stuprate e seviziate, mentre i mariti subiscono crudeli torture. Nonostante questi accanimenti, la sorelle continuano a lottare contro il dittatore che alla fine decide di eliminarle.
Il 18 maggio 1960 le due sorelle e i mariti sono processati a Santo Domingo per reati contro la nazione e condannati a tre anni di carcere. Stranamente, le due donne tornano in libertà il 9 agosto forse per volere di Trujillo che intende da un lato dimostrare la sua generosità, dall’altro poter avere una scusa per accanirsi ancora contro las Mariposas che una volta a casa avrebbero sicuramente continuato la lotta contro di lui.
Un paio di settimane dopo, i servizi segreti del dittatore ricevono l’informazione che le sorelle stanno guidando nuovamente la lotta contro il regime. La pressione internazionale contro Trujillo genera un contesto di tensione che spinge il dittatore ad accelerare l’eliminazione dei problemi interni, iniziando dalle sorelle Mirabal. Ordina al suo generale Pupo Román di escogitare un piano per far scomparire definitivamente le donne. Come primo provvedimento Román fa trasferire i mariti delle due sorelle dal carcere di La Victoria a quello di Salcedo, ufficialmente per alleggerire la pena, in realtà perché le mogli vadano a trovarli, percorrendo in auto una strada lungo la quale è facile preparare un’imboscata e ucciderle simulando un incidente.
Uccise a bastonate
Il piano viene attuato a metà novembre: quattro agenti di polizia (Alfonso Cruz Valerio, Emilio Estrada Malleta, Néstor Antonio Pérez Terrero e Ramón Emilio Rojas Lora) vengono istruiti sul da farsi. Il 18 novembre la squadra di assassini torna alla base senza eseguire l’ordine, sostenendo che le sorelle Mirabal viaggiano con i figli. Per lo stesso motivo i quattro non riescono a portare a termine il piano neppure il 22 novembre, ma il 25 le donne lasciano a casa i bambini e si fanno accompagnare dall’autista Rufino de la Cruz e dalla sorella Patria: il piano omicida può essere messo in atto.
Nei pressi del ponte di Marapica, l’auto viene fermata dai quattro uomini che, sotto la minaccia delle armi, costringono le tre donne a salire sulla loro auto – insieme a tre di loro – portandole a La Cumbre, in una casa dove il loro capitano è in attesa, mentre l’autista li segue con l’ultimo componente del commando armato.
Arrivati a destinazione i malcapitati vengono trascinati all’interno della casa e separati. Senza che nessuno possa vedere né sentire, las Mariposas e de la Cruz vengono presi a bastonate, massacrati e infine strangolati. I corpi vengono quindi risistemati a bordo della loro auto che è fatta uscire dalla strada di montagna per far sembrare la loro morte un incidente. Al termine arriva un messaggio a Trujillo: “missione compiuta”.
Il dittatore ritiene così di aver eliminato un problema, tuttavia ben presto si rende conto che il massacro delle Mariposas gli porta più disagi che vantaggi, e ben presto la soddisfazione si trasforma nell’inizio delle sue disgrazie. La morte delle tre sorelle ha grandi ripercussioni in tutta la Repubblica Dominicana e la risonanza avuta dall’omicidio spinge il popolo a sostenere gli ideali della famiglia Mirabal. Trujillo viene assassinato il 30 maggio 1961 con un colpo di fucile mentre di notte sta viaggiando in automobile in compagnia del suo autista verso San Cristóbal, sua città natale, nei dintorni della capitale Santo Domingo. Prima di morire era riuscito ad accumulare circa 800 milioni di dollari, messi al sicuro in banche straniere.