Il futuro di Julian Assange si fa quanto mai incerto: la “Southwark Crown Court” si è pronunciata contro il fondatore di “WikiLeaks”, condannandolo a 50 settimane di reclusione per violazione della libertà provvisoria. Un reato commesso nel 2012, esattamente quando scelse di rifugiarsi nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, esilio concluso clamorosamente l’11 aprile scorso, quando fu portato via di peso dalla polizia inglese. Gli avvocati di Assange hanno tentato di giustificare il gesto per il timore del loro assistito all’estradizione negli Usa, fornendo anche una lettera in cui il giornalista australiano si dice pentito. Il giudice Deborah Taylor ha replicato ricordando che a Scotland Yard la sorveglianza dell’ambasciata in questi anni è costata 16 miliardi di sterline.
Poco meno di un anno di carcere, che per Assange assume un altro significato: nelle prossime ore è prevista la prima udienza del tribunale di Westminster riguardo alla domanda di estradizione presentata dagli Stati Uniti, che vorrebbero processarlo per tradimento dopo la pubblicazione del 2010 del celebre e voluminoso dossier contenente documenti segreti e classificati che riguardavano anche il Pentagono, carpiti con l’aiuto dell’ex militare Chelsea Manning. Ma secondo alcune indiscrezioni, l’estradizione è una questione assai spinosa che potrebbe trascinarsi per diversi mesi fra sentenze, appelli e ricorsi.
Perfino la Svezia, che aveva deciso di archiviare il caso di presunti abusi sessuali compiuti da Assange su due ragazze, si dice che sia tentata dall’idea di riaprire il caso, presentando la propria richiesta di estradizione.