Come sia andata è storia recente: il 23 giugno di tre anni dopo, il 51,9% dei votanti si dichiara favorevole all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, contro il 48,1% di coloro che invece volevano restare. Un risultato a sorpresa, che lascia frastornato e senza parole lo stesso Cameron, che poche ore dopo rassegna le proprie dimissioni.
È l’inizio di una via crucis infinita, finora costata la testa a Theresa May e con buone probabilità che succeda lo stesso con quella di Boris Johnson, il suo testardo successore. Di fatto, la data ultima per l’addio del Regno Unito è il 31 ottobre, e i timori che arrivi accompagnata dal temuto e potenzialmente disastroso “no deal” sono tantissimi.
Il 13 settembre del 2016, David Cameron ha rinunciato al mandato parlamentare, ma lasciare la politica non gli ha evitato incubi ricorrenti. Ne ha parlato in un’intervista concessa al “Times” dal titolo inquietante: “I’m sorry. I failed”. Chiedo scusa, ho fallito. L’ex premier, ricomparso per presentare “For the Record”, la sua autobiografia, sente di dovere delle scuse al suo paese per le divisioni che lo dilaniano da quando è comparsa l’idea del referendum: “Alle conseguenze di quel voto penso ogni singolo giorno, e sono seriamente preoccupato per quello che potrà accadere in futuro”.

Di quei giorni ricorda soprattutto il tradimento di Boris Johnson e Michael Gove, quelli che riteneva degli amici e invece pronti a fare a pezzi il loro stesso partito per cavalcare il referendum “lasciando a casa la verità”. Una campagna referendaria basata su enormi bugie legate all’immigrazione e il terrorismo, e sulle paure, come il possibile ingresso della Turchia nella UE. Delusioni cocenti per Cameron, che ebbero pesanti ripercussioni anche sui rapporti d’amicizia personali. Cavallerescamente, l’ex premier augura comunque il successo a Johnson, di cui non ha apprezzato la sospensione del Parlamento e l’espulsione dei 21 dissidenti.