L’ultima speranza si è spenta nel cuore della notte, con la rottura definitiva delle trattative con i creditori per evitare la bancarotta di “Thomas Cook”, uno dei più antichi tour operator del mondo. Questa mattina, la società si è arresa ufficialmente, “cancellando tutti i voli e i pacchetti vacanze”.
Un finale che tradotto in cifre assume contorni drammatici: 22mila posti lavoro in fumo e mezzo milione di clienti del tour operator in giro per il mondo – 150mila britannici e 350mila stranieri - rimasti senza più un volo che li riporti a casa. Pensando al rientro dei turisti incolpevoli, la “Civil Aviation Autorithy” ha fatto scattare una procedura di emergenza che qualcuno, nel Regno Unito, ha definito “la più grande operazione di rimpatrio in tempo di pace”. Un intervento stimato in 600milioni di sterline, almeno in parte finanziati dal fondo di garanzia voluto dall’ente dell’aviazione civile britannica ma che quasi sicuramente costringerà il governo a mettere mano al portafoglio, come confermato dal premier Boris Johnson, che in una dichiarazione non ha nascosto la propria delusione: “Mi chiedo quanto i vertici delle società fossero incentivati a risolvere i problemi. La situazione creata è molto difficile, e i nostri pensieri sono rivolti ai clienti che potrebbero avere difficoltà a rientrare a casa. Faremo del nostro meglio, e in qualche modo lo Stato dovrà intervenire per aiutarli”.
Un intervento confermato anche dal ministro dei trasporti Grant Shapps, che ha annunciato un ponte aereo con 45 voli charter che prevede di riportare in patria entro oggi le prime 14mila persone, con la conclusione delle operazioni di rimpatrio prevista entro il prossimo 6 ottobre.
Thomas Cook, creata nel 1841 a Leicester e diventato uno dei tour operator più antichi e conosciuti al mondo, nel 2007 è confluita nel “Thomas Cook Group” grazie alla fusione con My Travel, trasformandosi in un colosso quotato in borsa che possiede sette marchi turistici ed una propria compagnia aerea, con 97 velivoli, 2.926 punti vendita, 32.722 dipendenti, 200 hotel e 19,1 milioni di clienti annuali.
La situazione economica della società viaggiava da tempo in cattive acque a causa del boom delle agenzie online e delle compagnie aree low cost, situazione resa ancor più incandescente dalla minaccia della Brexit. A nulla era servito, lo scorso agosto, il finanziamento di 450 milioni di sterline - la metà della cifra stimata nel pacchetto di salvataggio - pompati nelle casse aziendali dalla “Fosum Tourism Group”, la società cinese che dal 2015 è diventata il primo azionista.