A Marcus Ball, un uomo d’affari di 29 anni, le sparate antieuropeiste di Boris Johnson non sono andate giù. Il biondo e arruffato ex sindaco di Londra ed ex ministro degli esteri, continuava impunemente a ripetere che il Regno Unito spediva ogni giorno l’equivalente di 350 milioni di sterline a Bruxelles, per ingrassare i burocrati della UE. Una fake news in piena regola che però, a conti fatti, ha dato i suoi frutti, visto com’è finito il referendum che ha sancito il desiderio degli sudditi di sua Maestà di uscire dall’Unione.
Era il 2016, da allora Marcus Ball si è messo d’impegno, ha stretto le fila e varato una campagna crowdfunding per finanziare una crociata legale che inchiodasse Johnson alle supercazzole referendarie. E ora, Boris sarà costretto a risponderne davanti al Westminster Magistrate in un’udienza preliminare che valuterà se ci sono o meno gli estremi per procedere per condotta scorretta sotto incarico pubblico.
“La democrazia esige una leadership responsabile e onesta - ha tuonato fuori dal tribunale l’avvocato Lewis Power – il Regno Unito non ha mai inviato 350 milioni di sterline a settimana, e Boris Johnson lo sapeva perfettamente”. Un pasticcio bello e buono, che potenzialmente potrebbe avere effetti nefasti sulla corsa di Johnson verso la poltrona di Primo Ministro lasciata libera da Theresa May, e per cui sembrava uno dei favoriti.
E lasciano di che pensare i calcoli dei voti che circolano nel Regno Unito dopo la tornata elettorale europea. All’apparenza, il vero trionfatore è il “Brexit Party” di Nigel Farage, ma in realtà gli analisti fanno notare che a fare il pieno di voti sono stati i partiti favorevoli ad un secondo referendum. Messi insieme, Lib Dem, Verdi, Partito Nazionale Scozzese e Change UK, raggiungo il 40% dei voti, contro il 34,9% dei difensori del “Leave”. Purgati in modo pesante i partiti tradizionali, come Laburisti e Conservatori, accusati di una campagna elettorale non chiara e di puro compromesso.